La letteratura diventa arte quando l’autore di turno decide di usarla come pretesto per trasmettere del sapere. Sono questi i casi in cui nascono le opere di qualità, quelle eterne, inconfondibili, le stesse che oggigiorno appaiono, se non proprio in via d’estinzione, surclassate dalla parte scadente della lettura d’intrattenimento; quella delle raccolte di barzellette, delle autobiografie dei calciatori, dei thriller archeologici gremiti di suspence e colpi di scena, ma che alla fine si riveleranno privi d’una plausibile morale. Un modo efficace per evitare questo marciume cartaceo, è quello di voltarsi indietro per ricalcare le orme dei grandi maestri, quelli che infarcivano i testi delle forme più disparate della conoscenza, dando alle opere sfumature filosofiche, antropologiche, e talvolta anche scientifiche, fondendole in un “pretesto narrativo” che fosse in grado d’infondere un pizzico in più di cultura nel senno del lettore di turno.

Edgar Allan Poe è innegabilmente inserito nella categoria dei grandi maestri del passato. Era uno che utilizzava l’immaginifico come pretesto per raccontare le debolezze della psiche umana. Era uno che imbrattava le proprie opere d’inequivocabile pessimismo; un disfattismo che il lettore era spesso costretto a condividere, per quanto ciò fosse assai disturbante. Era uno che con una manciata di pagine avrebbe potuto annientare almeno dodici volumi di un qualsiasi scribacchino venduto al business.

Questo racconto breve del 1846 contiene tutti gl’ingredienti del maestro del terrore letterario. The Sphinx è un viaggio sospeso tra materialità e presagio, tra parvenza e tangibilità; è un incubo che scava nei più remoti nembi della mente, varcando la scheggia più inviolabile della soggezione umana. Ha come protagonisti due individui costretti a rifugiarsi in un cottage sulle rive dell’Hudson, per non essere contagiati da una violenta epidemia di colera scagliatasi su New York. Ma il vero pretesto narrativo è un altro: una nefasta comparsa, una mostruosa anomalia che sembra discendere una collina dirupata visibile all’orizzonte, oltre il vetro di una delle finestre del cottage. La narrazione dei due protagonisti che argomentano sull’accaduto, non fa altro che palesare il genio di Poe, il quale si serve dei due personaggi per personificarne le rispettive reazioni umane: da una parte il disturbante effetto causato da una scioccante apparizione, dall’altra una sobria cautela governata dalla ragionevolezza e dallo scetticismo. A tale proposito, quando il lettore chiuderà il libro, sorridente e pensoso dopo aver letto l’ultima riga, la domanda che si porrà sarà la seguente: “A quale reazione umana appartengo? A quale dei due protagonisti assomiglio di più?”

Ovviamente saprete rispondere a questa domanda solo dopo esservi addentrati nelle funeste trame di The Sphinx, un testo sospeso tra orrore e paranoia, sullo sfondo di un’acre riflessione sulle umane turbe mentali. Svelarvi altro vorrebbe dire rovinarvi il piacere della scoperta, perciò, buona lettura!

Federico “Dragonstar” Passarella

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