Mi accorgo riascoltandolo che molta buona musica folk-pop ed indie d'oggi deve (consciamente o no) qualcosa alle atmosfere intime, distratte e vagamente fanè di questo piccolo grande disco folk pop.

Edie, timida studentessa allora 23enne di Dallas, pubblica nel 1989 per la Geffen records un disco che diventerà un successo planetario grazie ad un singolo mid-tempo dall'andamento ciondolante, ed una triste ma sincera ballata sull'amicizia dall'arpeggio di chitarra a dir poco perfetto. "Shooting rubberbands at the stars" è un gioello oramai ingiustamente nascosto dalle sabbie del tempo, riascoltate i non banali preziosismi negli arrangiamenti e negli assoli delle chitarre di "What I Am" mentre la nostra ci chiede di non lasciarla affondare nei suoi stessi pensieri. "Little Miss S." è un tipico personaggio del mondo (passatemi il termine) "brickelliano", la immaginiamo in un giorno tremendamente assolato, seduta sul piccolo molo di un calmo fiumiciattolo del midwest con lo sguardo perso a (non?) valutare le proprie disgrazie mentre la voce di Edie ed i Bohemians tutti sembrano volerle accarezzare fraternamente il capo con dolci e rassicuranti note. La notturna "Air Of December" è il brano che mi fece innamorare definitivamente del disco... solo oggi mi accorgo che il tappeto elettronico mi faceva ricordare le migliori ballate neo romantiche dei primi Duran Duran, poi la voce un po' sguaiata di Edie verrà a rompere quasi teatralmente la sospesa staticità con l'urgenza di un ricordo amoroso. Altro ottimo mid-tempo è "The Wheel" nel cui testo la riccioluta folksinger tenta di rassicurarci sul nostro valore e sulla nostra presunta unicità. Più scanzonata, quindi forse ancorpiù brickelliana, è la gioiosa "Love Like We Do" qui una chitarra acquosa e la batteria prendono il sopravvento sulle atmosfere soffuse mentre la nostra rima sulla felicità della vita a due. Poi "Circle" piccolo e triste capolavoro di pop acustico sul valore della solitudine e la falsità delle (a volte) troppo chiassose amicizie in gruppo.

La frenetica "Beat The Time" ci introduce al lato b col suo invito in qualche maniera programmatico: "close the door and open your mind". "She" stigmatizza una ragazza troppo innamorata di sè per vedersi realmente se non nello specchio distorto, superficiale e patinato delle riviste femminili e dei valori freddamente materiali. Altro piccolo quadro di momenti quotidiani è "Nothing" dove la nostra tenta di sconfiggere il muro di gomma di un "niente" detto a mezza bocca, di spalle con la testa bassa. Troppo poco ho sottolineato il valore dei New Bohemians (nei dischi senza loro non saprà ripetersi a livello di fresca naivetè folk sofisticando troppo il sound): ottimi sono in "Now" dove si incrociano funzionali e crude tessiture di chitarra acustica, le spaziose tastiere (il cui timbro risulterebbe addirittura oggi modaiolo quindi datato) ed un basso dal suono nudo e tondo. "Keep coming back" è un up-tempo grido folk-rock sulla fine di un amore a ferite ancora aperte, anzi, appena subite: "desperatly tryin' to get off my mind but ya keep comin' back!!!". La ghost-track "I Do" è l'ultimo gioiello di poco più di un minuto dove l'estatica intuizione musicale di questa minuscola miniatura pop si sposa alla perfezione con la ricerca del sentimento presente nel testo: una specie di "Sunday Morning" in pigiama rosso da cantare mentre ci si stropiccia gli occhi...

Disco brutto? Bello? Banale forse??

Il cuore non sente ragioni...

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