Tutto è nato per caso, quattro chiacchere tra amici.

Ho appena letto "La Storia" della Morante, faccio io. Alle superiori mi avevano fatto leggere "L'Isola di Arturo" (1957), un libro che mi è piaciuto da morire in cui non succede niente, mi ribatte il Rock (il mio amico potrei chiamarlo anche Jazz, forse Reggae potrebbe dar meglio l'idea ma, non so perchè, Rock gli calza a pennello). C'è questo ragazzino che gira solitario su un'isola, mi dice. M'incuriosisco. Non è tanto la trama che pare poco avvincente e stimolante ma, soprattutto, l'idea che al mio amico Rock possa esser piaciuto un libro della Morante.

Lo recupero, lo divoro e, appena terminato, mi ritrovo, pochi giorni dopo, su una piccola isoletta in mezzo al Canale di Sicilia. Mi sveglio presto alla mattina, il resto della famiglia dorme allegramente, m'infilo i boxer da bagno, esco dalla camera del B&B e inizio a camminare senza una meta precisa come Arturo Gerace, il protagonista del libro, era solito fare nella sua Procida durante la fine degli anni '30. Finisco nei suoi panni e nella sua storia solitaria, entro nelle sue fantasie e nei suoi miti. Orfano della madre, cresciuto da un padre sempre in viaggio e dal balio Silvestro nella Casa dei Guaglioni (rigorosamente vietata alle donne!), girovaga senza sosta e senza obiettivi sull'isola con la sua cagna, in mezzo alla natura. L'isola diventa il caldo grembo materno, diventa l'abbraccio dolce della madre che non l'ha mai coccolato nè baciato, un piccolo universo chiuso e protetto che inizia a scricchiolare quando il padre Wilhem (mezzo tedesco) porta a casa dal continente la sua nuova giovane sposa Nunziatella, la prima donna che entra nella vita di Arturo. Nunziatella dà alla luce un figlio, Arturo cresce, scopre la gelosia, l'invidia e l'amore e tutte le delusioni amare che la vita pian piano gli presenta lungo il cammino.

Lettura lenta come la vita di un adolescente qualsiasi, libro scritto magistralmente, vivo e colorato come ben pochi dove i temi della solitudine, del difficile rapporto padre-figlio, del passaggio dell'adolescenza all'infazia s'intrecciano nella soggettività di Arturo. Un cosidetto romanzo di "formazione" in cui Arturo passa dalla magia dell'infanzia alla cruda realtá della vita. Peccato non aver letto questo libro vent'anni fa, un vero peccato non aver avuto un professore tanto illuminato da offrirmi una diversa chiave di lettura per affrontare uno spaccato così importante della mia vita.

Io continuo a passeggiare per i sentieri neri e polverosi, mi avventuro nella bocca del vulcano, vedo le lucertole che mi attraversano la strada e il mare intorno a me, scavalco un muretto di rocce laviche, attraverso delle macchie giganti di capperi e mi siedo all'ombra di due grandi piante di fico. Colgo i frutti per colazione. Cerco di assaporare al massimo la vita selvaggia di Arturo e di rallentare il corso della mia esistenza che, come un treno in partenza da una stazione, acquisisce sempre più velocitá man mano che gli anni si accumulano.

Chissà il treno di Arturo dove l'avrà portato, chissà se sarà contento delle sue scelte passate, chissà che uomo sarà diventato. La magia di Arturo rimarrà sempre al mio fianco. Fatevelo amico...

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