L’atmosfera rarefatta della (uso un termine vergognoso) location, si sposava con le strimpellate di Bollani, che scorticavano dall’interno le appassionanti composizioni di Rava, le infarcivano di fughe oniriche verso generi astrusi. Tutto era carnevalizzato. I brani si assottigliavano e si allungavano, si atteggiavano eppoi scoppiare a ridere, parevano morti e, d’improvviso, rinascevano. Tripudio di generi, colori, sensazioni.Colpa del jazz. Che permette di giocare con tutto. Uno sport da eterni bambini, dopotutto. Dopo un’ora e un quarto di puro spasso, lo spettacolo finisce.
Esattamente un anno dopo mi capita tra le mani un disco di R&B registrato a Montréal. Temporeggio pensando che diciottoeuro non sono pistacchi, ma poi prendo cuore e portafogli tra le mani e mi avvio alla cassa. Le prime note di Bollani creano un girotondo sonoro, Rava entra nel vortice con la leggerezza che è tipica di chi non ha perso la voglia di giocare. La voce della sua tromba sembra però insicura inizialmente, forse ha paura che ‘sto giovane pianista gli faccia fare brutta figura davanti all’attento pubblico canadese. “Non si può suonare Ufo Robot nelle pieghe di questi brani… soprattutto davanti a questi stronzi che parlano in francese…”, avrà pensato. E infatti il disco scorre via senza particolari stravolgimenti.
Eppure nella semplice grandezza di brani come “Theme for Jessica”, “Tango for Vasquez y Pepita”, “Le Solite Cose”, la magia di quel concertino estivo torna a manifestarsi. Solo in altra forma. E allora la vedi, Jessica, fuggire e la tromba la segue in un turbine di note velocissime, “Le Tue Mani” sono quelle della ragazza a cui hai detto un anno fa “Non ti dimenticherò”, Vasquez e Pepita sono due trentenni che ballano nella polvere di Città del Messico, “Le solite cose” sono quelle lì, da sempre… sanno di poche certezze e di molta quotidianità. Un’epifania continua. In un disco che pare un libro, per la sua capacità di evocare storie, luoghi, persone, oggetti.
Colpa del jazz. Uno sport da illusionisti patentati…
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