Finalmente Enya. L'inizio del nuovo millennio segna il ritorno dell'autrice irlandese con un album nuovo di zecca, lavoro di cesello per il quale Eithne Ni Bhraonain - è questo il suo nome prettamente gaelico - ha speso quasi un lustro: il suo ultimo lavoro assolutamente originale, "The Memory Of Trees", risale al 1995, e sembra proprio che tanti anni di distanza non possano che ripagare la lunga attesa dei cultori del genere. Così è: "A Day without Rain" compare in una veste rassicurante, con l'immagine di Enya che seduta su un divano rivolge uno sguardo rilassato e sereno; i pezzi, dodici, contribuiscono a definire un lavoro ben realizzato e piacevole. È quest'opera, pur nella sua omogeneità, un prodotto variegato, restìo a quella ripetitività di cui i maligni hanno spesso accusato l'autrice irlandese, ricco di armonia, di semplicità, ma al contempo di pàthos, di dolore, di dramma.
L'inizio, costituito dalla title-track, è notevolmente promettente, con bella esecuzione al piano della stessa Enya: ouverture di livello che introduce l'uditorio al pizzicato di "Wild Child" poco dopo; brano di incantevole dolcezza, ha nella pomposa orchestralità la sua forza. L'hit "Only Time", terza traccia, ha quel sapore lentamente orientaleggiante che tanto è caro all'autrice irlandese: il tempo, soggetto e oggetto del brano, si dilata meravigliosamente in canto e controcanto con grande soluzione di continuità; tutto procede per il meglio, quando, quasi a ricordare che il tempo è drastico cambiamento di stagioni, irrompe l'angosciosa "Tempus Vernum": di taglio Neoclassico - in senso musicale - attrae l'ascoltatore in un torbido vortice dai toni roboanti. La quiete dopo la tempesta è la malinconica "Deora Ar Mo Chroì", omaggio enyano al sapido verbo gaelico, mentre nuovamente deliziosa è "Flora's Secret", il cui tema, ripreso successivamente, si dissolve malinconicamente in "Fallen Embers", che quasi a rafforzare il precedente concetto, vela ancora l'atmosfera di tristezza parlando di tempi lontani. Dopo la movimentata "Silver Inches" e la struggente "Pilgrim", il minimalistico incanto di un albero che perde le sue foglie diventa soggetto di lieve dolore in "One by One", tra i più bei pezzi dell'album, poco prima di dare il la alla scanzonata "Lazy Days" finale, serena chiosa di un lavoro garbato e dai toni costantemente smorzati; in mezzo, la strumentale "The First of Autumn", di ligia orchestrazione. Autrice raffinata Enya, non di questo Mondo.
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