La Sardegna non è un'isola, è un continente. Territori vasti, impervi, poco antropizzati. Non solo le celeberrime spiagge bianchissime: ma anche canyon e ruscelli, foreste e dirupi, stagni immensi e grotte carsiche. I silenzi del Gennargentu, della valle del Lanaittu e del Supramonte di Oliena, quanto di più vicino al contatto con la Divinità.

Una lingua arcaica, pietrosa, vicina al latino parlato dagli antichi romani: una lingua, non un dialetto. Tradizioni millenarie, fierezza portata ai limiti dell'autolesionismo. Una diversità geografica che porta alla frammentazione delle lingua in mille dialetti, delle usanze comuni in mille varianti e sfumature locali.

Ricchissima tradizione musicale, e strumenti originali: i cupi e spaventosi tamburi di Gavoi; le launeddas, strumento polifonico che ha affascinato persino Ornette Coleman, il cui suono ricorda quello delle cornamuse: ma, a differenza di queste ultime, non hanno un serbatoio d'aria esterno, per cui il suono deve essere sostenuto con una tecnica di respirazione circolare affine a quella usata da alcuni sassofonisti jazz. Il modo fortemente ritmico di suonare la fisarmonica, per accompagnare il ballo tipico. Per non parlare del canto "A Tenores", una gemma che manda in visibilio musicisti e musicologi di tutto il mondo, una miscela di virtuosismo vocale e antica poliritmìa africana.

Il sassofonista Enzo Favata, sardo di Alghero, riesce in questo disco a fondere le mille anime della sua peculiare cultura musicale, fatta di jazz, musica sarda e molto altro... Allo scopo riunisce una compagine di pregevoli musicisti, tra tutti spiccano il fantasioso pianista/fisarmonicista Daniele di Bonaventura e Marcello Peghin, virtuoso chitarrista di estrazione classica, più una nutrita schiera di musicisti e cantanti locali; sono della partita gli osannati Tenores Di Bitti, ma anche il parimenti valido gruppo dei Concordu Di Castelsardo.

Molti i pezzi tradizionali riarrangiati dal sassofonista, e molte composizioni originali che sposano una pronunciata e gioiosa ritmicità con un sound aperto, lieve e melodico. Un senso di "viaggio", di spostamento tra geografie reali ed immaginarie, dalla mesta sacralità di "Processione", al lirico inno "Isola", preceduta da un introduzione di launeddas, con uno struggente assolo di fisarmonica di Bonaventura. Molto spazio al canto a Tenores, e in generale alla lingua sarda, con Favata e i suoi che improvvisano sopra il parlato, come accade in "Sa Bella Su Mondu", ad estrarre la musica dai ritmi sincopati di "sa limba". Intensi i momenti strumentali, come in "Las Plassas (Dance For Ralph)", dove Peghin ci regala un bell'assolo alla chitarra acustica.

Se proprio dobbiamo trovare delle coordinate, diciamo che si rimane sulla ariosa e lirica cantabilità di Garbarek e degli Oregon, o i lavori più fruibili di Ralph Towner. Ma la componente etnica, nel suo significato più profondo di "musica di un popolo" è talmente radicata da imprimere un marchio inconfondibile a tutto il lavoro.

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