"Silence and I”, cantavi.
Ora siete insieme, te e quel silenzio pieno di colori orchestrali; e, francamente, provo molta tristezza, al pensiero.
Te ne sei andato, in silenzio, più di due mesi fa e nessuno quasi ne ha parlato; tant’è che io – che con il progetto tuo e di Alan ci sono cresciuto – l’ho scoperto stamattina in ufficio, quasi per caso, la tazzina di caffè in mano e gli occhi ancora assonnati davanti allo schermo del portatile.
Ascolto questo “Poe – More Tales Of Mystery And Imagination” con un velo di tristezza negli occhi; e poco importa se magari non incanta come il genitore che, diciassette anni prima, diede anima e corpo ad una meravigliosa storia. Da Poe a Poe, affrontando torridi sciami di insetti dorati, percorrendo viali corrosivi, sempre osservati da famelici avvoltoi da allevamento.
L’ideale seguito di quel capolavoro nasce dall’adattamento di un musical che nel frattempo il buon Eric aveva scritto e vede, come principale esecutore, il bravissimo Steve Balsamo, cantante che proviene proprio dal palcoscenico teatrale.
L’opera, registrata negli studi di Abbey Road nel duemilatrè, non vede tuttavia alcun contributo da parte degli storici strumentisti del progetto di Alan Parsons; lo stesso Woolfson si limita quasi esclusivamente alla scrittura ed alle tastiere: uno solo dei brani viene infatti impreziosito dalla sua splendida voce, comunque supportata dal giovane interprete.
Come nell’illustre capostipite, anche questo lavoro sviluppa in forma canzone alcuni dei celebri racconti del geniale scrittore americano, unendoli tuttavia a momenti ispirati alla degradata realtà urbana ed alla spietata cornice umana in cui quest’ultimo visse la sua breve e malinconica vita. La bella e sfuggente strumentale “Angel Of The Odd” mette subito in evidenza la bravura dei musicisti – peraltro numerosi – scritturati dal compianto Woolfson, tra i quali il chitarrista John Parricelli ed il percussionista Martin Ditcham.
Introdotta da tintinnii che molto devono al vecchio amico ed eseguita con gran carisma da Balsamo, “Wings Of Eagles” è una visione della realtà ottocentesca filtrata dagli occhi dello scrittore; il basso potente di John Parricelli dona ulteriore colore ad una melodia molto ariosa. “Train To Freedom” è invece la spiazzante trasposizione per cori e voce roca (quella di Fred Johanson) della società politica dell’epoca, la stessa che probabilmente spinse lo scrittore tra le braccia di quei cacciatori di voti che lo avrebbero picchiato a morte*.
Torna la ballata d’ampie vedute con “Somewhere In The Audience”; vi si affronta uno dei temi ricorrenti della poetica dell’americano, quello della morte precoce – egli non assorbì mai del tutto la prematura morte della madre e cadde in profonda disperazione alla successiva scomparsa della moglie.
Inquietanti anche nella forma appaiono invece le discordanti note di “The Bells”, eseguita dal coro “The Metro Voice”; si vuole sottolineare la cura dello scrittore rivolta al suono delle parole stesse, alla ricerca dell’effetto acustico che allieti l’orecchio del lettore (si pensi ad esempio alla squisita musicalità di “Annabel Lee”).
Il pezzo più duro dell’opera, in realtà tre movimenti a formare un unicuum, è “The Pit And The Pendulum” (dal celebre racconto sulle torture dell’inquisizione): cantata da Balsamo e sorretta da una grande sezione ritmica (due i batteristi che suonano nell’album, Ralph Salmins e Ian Thomas) nelle due estremità, si distingue anche per la parte centrale, strumentale e dominata dalle tastiere.
Nella trasposizione di una delle più famose opere di Poe, “The Murders In The Rue Morgue” è finalmente un Woollfson (molto distante dai fasti Parsoniani) a cantare, ma la scena è spesso sostenuta dalla voce narrante del giovane Balsamo e dagli acutissimi e stranianti cori del refrain.
Dopo una breve e dolcissima parentesi dedicata ancora al rapporto tra la madre ed il piccolissimo figlioletto (“Tiny Star”), interpretata con passione da Balsamo, si giunge ai due bellissimi brani che concludono questo lavoro; “Goodbye To All That” è un brano dal sapore celtico, col violino di Dermot Crehan a ricamare il coinvolgente rincorrersi di due diversi cori, a simboleggiare quasi la triste unione – che si rivelerà molto breve – tra Edgar (Brighton Festival Chorus) e l’amata cugina Virginia (The Metro Voices).
Il brano sfocia in un nostalgico quanto ipnotico richiamo al primo album (sebbene in quest’ultimo vi sarà incluso solo nella seconda versione, quella del 1987), ovverosia la calda voce di Orson Welles.
“All that we see or seem is but a dream within a dream”.
“Immortal” è, infine, un commovente manifesto in crescendo alla memoria imperitura dello sfortunato scrittore; il grido finale di Balsamo è quanto mai profetico; specie oggi. Specie ora che ho saputo.
In delle sue più belle interpretazioni, una volta egli cantò queste parole:
You read the book, you turn the page;
You change your life in a thousand ways.
The dawn of reason lights your eyes,
with the key you realise
to the kingdom of the wise.
Voglio immaginare che ora lui sia lì, con gli amici che il tempo si porta via.
Goodbye my friends, maybe forever; goodbye my friends, the stars wait for me.
Who knows where we shall meet again? If ever…
But time keeps flowing like a river (on and on) to the sea.
To the sea, till it’s gone forever.
Gone forever…
Gone forevermore…
Grazie, Eric.
*Per quanto concerne il minimo contesto tematico che ho voluto dare alla recensione (e per i crediti dell’album) sono ricorso alla rete, ed in particolare al testo a questo indirizzo; ho tuttavia cercato di limitarmi a dei minimi accenni, per non pregiudicare la personalità della recensione, che spero non venga messa in dubbio.
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