Nella storia della letteratura tedesca vi è un capitolo breve e, dal punto di vista letterario, di poca rilevanza, che tuttavia ha sempre suscitato in me una certa attrazione tanto da spingermi ad un moderato collezionismo. Il grande germanista Ladislao Mittner  definì il "dodicennio nero" quel periodo (1933-1945) durante il quale, la propaganda culturale nazista cercò di imporre un certo tipo di letteratura e teatro di bassa fattura, costringendo all'esilio i veri Grandi scrittori dell'epoca.

Autori molto modesti quali Hans Grimm, Hans Blunck, Erwin Kolbenheyer, Friedrich Griese e Ernst Wiechert si trovarono così involontariamente ( poiché le opere scelte come manifesto propagandistico furono scritte prima della ascesa nazista) ad essere il cardine attorno il quale ridefinire il canone del nuovo sapere ariano.

Sostituendosi così alla spinta riformistica di autori ben più influenti quali Mann, Hesse, Sachs, questo pugno di scrittori si gongolava nell'anacronistica poesia della natura (Bäume im Wind), nel colonialismo più bieco (Südafrikanische Novellen) e nell'apologia di un militarismo forsennato (Die Majorin, Das einfache Leben). Il corollario perfetto di una campagna di lobotomizzazione che non risparmiava, come si sa, neppure i più piccoli.

"La signora" (die Majorin, 1936) è, a ragione di ciò, un testo non indispensabile, di un autore piuttosto dimenticabile (Das einfache Leben - Una vita semplice si può ancora leggere) la cui importanza non sta nel suo contenuto bensì nella sua capacità di raccontare "altro", di andare oltre la storia in sé. La Mondadori pubblicò quest'opera per la prima volta nel 1936. Nel 1944 era già alla settima ristampa. La seconda di copertina lo annuncia come "vero gioiello della natura e dell'anima dove il dramma di un reduce di guerra trova la sua catarsi nel gesto di amore di una donna eletta". Il racconto, dicevo, non è indispensabile. Non è stato più ristampato né tradotto. La storia di questa "Majorin" non è indispensabile poiché non serve più alcuna catarsi. Indispensabile, perché vero testimone, è a mio avviso il supporto: nel suo verde sgargiante, nelle sue battute marchiate di un nero fondo e denso, nella sua legatura forte come filo spinato. Esso è resistito.

Tre anni dopo, nel 1947 La Signora Anna Seghers, autrice ebrea scampata allo sterminio, viene presentata all'Italia con la prima edizione de La settima croce (1942), una fra le prime struggenti testimonianze sull'olocausto. Il confronto commuove. L'edizione non ha lo stesso verde tenace delle edizioni di regime, le lettere e cifre si confondono nel grigio dell'inchiostro. Tanti sono i refusi. Le pagine si sfaldano e corrono via. E costa di più.

Ho trovato "La Signora" da un libraio prima. Tempo dopo "La settima croce" ma da un altro robivecchi. Stanno uno accanto all'altro su una mensola. E mi raccontano due storie di donne.

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