Ho lasciato che queste canzoni mettessero le radici negli anni; si sono sedimentate aderendo al mio vissuto con grazia e lievità. Ascoltando questo album mi sorprendo tutte le volte di come Essie Jain non sia adeguatamente conosciuta. La sua essenza è trasparente e leggera, tutt'altro che solare. La sua voce ha le tonalità invernali della luce candida che fonde distese bianche di terra e cielo. I brani sono scheletri che col passare dei secondi prendono corpo, tornano a fuoco, alla vita, come corpi in movimento trafitti dal sole. ”We Made This Ourselves” è pregno di dolore finissimo, di disperazione mai scomposta. Le sue trame non hanno slabbrature o irregolarità di sorta. Non per questo è un monolite grigio che si erge solitario. Ha più la consistenza gassosa e vaporosa di certi corpi celesti. È come se tutti i brani fossero coperti da un sottile strato di polvere che, a differenza di quello che si può immaginare, ne accresce il fascino e ne esalta i colori.

È possibile che siate particolarmente refrattari all'armonia che pervade tutto il disco, in tal caso avvicinarsi a un album del genere potrebbe essere un'esperienza altamente noiosa e avreste voglia di piantarlo in asso dopo qualche minuto. Vi consiglio di perseverare, almeno per tutta la durata dei brani, di lasciarli scorrere a goccia a goccia, dando loro il tempo di snodarsi e imprimersi nella vostra memoria, o di svanire piacevolmente senza lasciare alcuna traccia del loro passaggio tanto sono sottili e spettrali.

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