Estradasphere: il nome ti rimane in facilmente in testa, la musica no.

Sono convinto che non sia sbagliato l'inquadrare la musica in un genere, in un movimento, in un periodo: facilita la comprensione della medesima, l'approccio e l'identificazione. Un gruppo punk può fare musica punk per chi tende a voler essere punk. E questo va bene per il 92% degli individui.

Chi invece non vuole inquadrarsi, chi ama incondizionatamente l'alchemizzare sulle sette note come occupazione, passione ed hobby, può fare qualsiasi genere di musica. Non so se valga l'opposto. Posso dirvi invece che gli Estradasphere sono un violinista folkeggiante (Timb Harris), un batterista metallaro (Lee Smith), due tastieristi con la passione per elettronica e videogiochi (Kevin Kmetz, Adam Stacey), più un duro come chitarrista (Jason Schimmel) ed un bassista (Tim Smolens) a cui non dispiace far impiego della sua voce.

"Palace Of Mirrors" è il disco della maturità, in cui queste personcine abbandonano i pur simpaticissimi remix di Supermario per concentrarsi su brani come: "Colossal Risk", incommentabile collage di variazioni jazzistiche (con rilevanti riferimenti al surf rock) su quella "spy music" tanto in voga ai tempi di Bond (Bond, James Bond); "Those Who Know...", un progressivo passaggio (con scambio di testimone) da una voce all'altra, che termina in un finale epico/orchestrale.

Ma abbiamo parlato di Folk. Del resto l'anima (frammentata) di questo gruppo si raccoglie attorno alla musica popolare slava, magiara e rumena. Evidentemente inspirati da Bartòk, questi ragazzi propongono la loro personalissima visione delle ballate balcaniche; suonata a velocità elevata e con un taglio decisamente molto personale questa musica arriva a toccare il jazz fusion ("A Corporate Merger") ed il metal ("Smuggled Mutations"). Interessante, direi. "Six Hands" è un altro pezzo che spicca: una sorta di balletto sincopato a sei mani (sei) sul pianoforte. Non male davvero. Tecnica pulita.

Se in tutta l'opera i riferimenti alla musica classica non mancano, nel brano omonimo, "Palace of Mirrors", i nostri Estradasphere ci si cimentano in modo più diretto. Il pezzo in sé è discreto, con ottimi spunti, e merita come omaggio alla musica romantica. Molto più interessante concettualmente è però la successiva reprise, dove il tema viene sviscerato in una sorta di tango cadenzato, con cambi di tempo e di strumento (e di genere, in fin dei conti). Un pezzo che fa capire la portata e la potenzialità di questo poliedrico sestetto

Ma gli Estradasphere dimostrano di saper rompere i tabù con gusto con il sognante "The Debutante", in cui dietro lo stile da piano-bar si nasconde del jazz maturo e serio.  

Il mio giudizio su questo transilvanico album e sulla band è molto positivo: questi ragazzi hanno realizzato un disco che musicalmente propone un ottimo utilizzo degli strumenti e dell'elettronica; hanno saputo unire generi diversissimi per personalizzare un sound già unico di suo.

E poi... beh... spiegatemelo voi: da quando gli americani si interessano di austro-ungarici e musica popolare europea?

Carico i commenti... con calma