Kissin: piccoli prodigi crescono
30 maggio. Parco della Musica di Roma, Eugenij Kissin chiude la stagione dedicata ai pianisti. Un concerto tra i più attesi dopo il successo ottenuto dal giovane pianista russo nel 2004 con l'esecuzione dell'integrale dei concerti di Beethoven.
Atteso dal pubblico romano.
Atteso da me.
Il programma è senza alcun dubbio affascinante, ma do una prima, fuggevole occhiata e mi sembra essere quello di un qualsiasi giovane pianista fresco di diploma se non fosse per il brano di apertura, ancora oggi poco eseguito: la sonata in Mib Magg. op. 568 composta da uno Schubert ventenne, in cui emergono già chiari, seppur in una forma tutt'altro che equilibrata, i tratti che ne caratterizzeranno il pianismo della maturità: ricchezza di linee melodiche mai completamente caratterizzate in temi veri e propri e che in modo spiraliforme procedono le une dalle altre rincorrendosi sino a dilatare una forma che tenta ancora di mantenere schemi classici pur sottostando ad una articolazione interna assolutamente in-formale, già romantica, per certi versi brahmsiana.
Ed è il Brahms dell'Ineffabile, quello dell'op.118 e che è stato racchiuso, come una perla, al centro del programma, preceduto dalle 32 variazioni in do min. di Beethoven, seguito dalla Grande Polacca brillante op.22 di Chopin in Mib Magg.
Ancora Mi bemolle, non un caso dunque.
Kissin, lo osservo, ha 35 anni, ma nei modi e nell'aspetto, sembra ancora il bambino prodigio che è stato, ora però, con il suo bagaglio fatto di notevoli capacità digitali e vasto repertorio già affrontato, con il suo tocco, aperto, chiaro, per certi versi scintillante, seppur poco denso e forse non ancora variegato e differenziato nel timbro, compone un programma all'insegna di una tonalità, Mib Maggiore, aperta, a tratti eroica, ardita di un ardore tutto giovanile, e brillante ma di una luminosità opalescente. Una tonalità che però può velocemente trapassare nei toni scuri e cupi della sua relativa minore, il do delle Variazioni di Beethoven.
Un percorso tonale non casuale dunque. Tutto sembra essere imparentato con tutto, come, del resto, spesso avviene in Schubert. Il Mi bemolle, aleggiando, smussa i contrasti, leviga le pur necessarie asperità.
Ammorbidisce.
È così il modo di suonare di Kissin, tra due blocchi nettamente contrapposti ma internamente uniformi in cui da una parte il Lirico ed il Poetico si confondono a volte con l'Effeminato e lo Svenevole sottolineati da un fraseggio spesso discontinuo e frammentato; ‘buone cose di pessimo gusto', tanto amate dalla signorina Felìcita di gozzaniana memoria che hanno trovato la loro massima espressione nell'Andante Spianato e nel II intermezzo dell'op. 118, quasi che Poesia e Profondità, non solo di Brahms, possano essere solo nell'Esteriorità e in un visibile Esteriorizzare, piuttosto che nella semplice ma rigorosa autenticità.
E contrapposta, dall'altra, la pulsazione ritmica, vitale e vivace che sottostà al suo virtuosismo e che ha animato soprattutto le 32 Variazioni: una lettura originale ed interessante di una composizione, intellettualistica, priva di numero d'opera, di un Beethoven quindi più Musikant che Musicista. Kissin, fin dalla prima variazione si colloca sulla scia di quanti ritengono il Tema e Variazioni una forma di libera sperimentazione in cui volutamente sottolineare in un gioco di contrasti la contrapposizione netta tra barocco o neo barocco dalle caratteristiche di leggerezza improvvisativa, e contenuti musicali di una nuova intensità e densità romantiche.
E dal Mi bemolle della viennesità autenticamente danzante dello Schubert iniziale, attraverso quel do minore, Kissin è approdato al Mi bemolle finale dell'Andante Spianato e grande Polacca brillante, pezzo Biedermaier per eccellenza, l'anonimo signor Mario Rossi per intenderci, una viennesità... annacquata, creata e da lui ricreata per essere di facile presa sul pubblico.
Concerto e pianista interessanti, più che emotivamente coinvolgenti. Kissin, se coinvolge ed emoziona è ancora soprattutto per le innegabili capacità tecnico-bravuristiche, e neanche poi tanto quanto il suo quasi coetaneo Volodos, con il quale sembra essersi volutamente messo in competizione vista la presenza nei sui bis di trascrizioni di difficoltà letteralmente trascendentale con le quali mandare in visibilio un pubblico che sempre più negli ultimi tempi sembra amare vedere, e solo POI sentire, dita che volano sulla tastiera indipendentemente da ciò che tale corsa, a volte forsennata, trasmette e comunica.
Non è ancora il caso di Kissin. Non del tutto perlomeno.
La Romanza e L'Intermezzo finale dell'op.118 riflettono un pianista capace non solo di impressionare, ma anche di catturare l'anima e lo spirito di un compositore, e ‘restituirli' al pubblico, un pianista che è quindi sulla strada dell'interpretazione autentica, fatta di profondità, espressività semplice e ricerca anche dei mezzi sonori più adatti ad esprimerla.
Anche i bambini prodigio devono crescere, e forse, in Eugenij Kissin il bambino prodigioso che stupiva e stupisce, comincia finalmente a lasciare il posto al Musicista.
Vera Mazzotta
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