Il 2 maggio del 1945, verso le sette del mattino, tre fucilieri del 756° reggimento dell'Armata Rossa, Mikhail Egorov, Abdulhakim Ismailov e Meliton Kantarijan, scalano il Reichstag. Chaldej, oltre ad una macchina fotografica Zorkij, ha con sé una tovaglia rossa, una stella e il simbolo del comunismo precedentemente ritagliati da un cartone, ago e filo. Cuce non senza difficoltà il ritaglio, applica il tutto ad un'asta di fortuna e chiama anche altri due soldati, Aleksej Kovalev e Leonid Gorijacev chiedendo ausilio in cambio di gloria su celluloide. Ismailov viene aiutato a salire sui resti di un pilone e fissa la bandiera sovietica accanto la famosa cupola di vetro. Chaldej impugna la sua arma e scatta 36 foto da diverse angolazioni, con il vento a favore, e con diversi protagonisti. Reichstag espugnato, Nazismo schiacciato, Hitler sconfitto, Grande Guerra Patriottica vinta.

La storia di questa celebre immagine è piuttosto travagliata ed è assolutamente giusto definire che gli eroici fucilieri non furono i primi ad issare una bandiera rossa sul tetto del Reichstag. L'Armata Rossa ha ormai invaso Berlino e Hitler spara le sue ultime cartucce mandando al macello gli ultimi reparti della Wehrmacht. Non contento ordina a Goebbels di sparare anche quelle a salve, utilizzando i Volkssturm, ossia formazioni di persone abili tra cui molti adolescenti e anziani, pur di tentare l'avanzata fin troppo superiore dei sovietici. Il 30 aprile, dopo l'ultima sanguinosa battaglia Vladimir Makov, Rakhimzhan Koshkarbaev, Anna Vladimirova e Georgij Bulatov, nonostante il palazzo fosse ancora presidiato da deboli resistenti tedeschi, salirono con un qualunque drappo di colore rosso, inteso a garantire l'avvenuta "prise de la Bastille". Per la propaganda staliniana l'importante era la visione, sul punto più alto del palazzo parlamentare nazista, di qualsiasi corpo sventolante che somigliasse al drappo sovietico. Stracci rossi o bandiere portate al seguito per l'occasione furono applicate alla meglio sulle braccia delle statue d'ornamento. Il primo però a calpestare le macerie del Reichstag fu il sergente Mikhail Minin e ne fissò una in una corona retta da un'altra statua, la notte del 30 aprile 1945, precisamente alle 22:40, ma il buio plumbeo non avrebbe permesso al pur solerte Chaldej, di immortalare il momento. Il mattino successivo qualcosa sottolineò la presenza di qualche tedesco nascosto nell'edificio. La bandiera era scomparsa. Il tempo di spegnere gli ultimi focolai e all'alba del 2 maggio 1945 in un silenzio terrificante rotto da qualche probabilissimo urlo di gioia e il gracchiare metallico dei carri armati, i soldati sovietici riescono, senza più rischi, a toccare la vetta del monte nazista, piazzando il colpo di grazia al morente mostro di Hitler.

Successivamente vennero a galla manipolazioni e aneddoti. Il reporter confessò, già dalla morte di Stalin, la messa in scena. Oltre alla data, anticipata di due giorni per rendere più ardimentosa l'impresa, venne applicata l'alterazione dei fumi di sfondo allo scopo di renderlo più fuligginoso per una più drammatica atmosfera. Venne, inoltre cancellato, mediante un certosino ritocco con ago, un orologio, dal polso destro del militare che sorregge Ismailov, probabile frutto di sciacallaggio. La propaganda non poteva evidenziare le vendicative depredazioni dei soldati in terra tedesca, così come doveva valorizzare il fatto che il primo ad erigere la bandiera fosse stato almeno un soldato georgiano, quindi conterraneo del feroce dittatore, quasi a discapito dei veri protagonisti.

Per quanto mi riguarda, la foto sancisce la morte del nazismo, al di là di ciò che è accaduto dopo e degli orrori che prevede una qualunque guerra. La seconda, a livello mondiale, ne ha previsti tanti e contati il doppio. La guerra la si conosce fin troppo bene e dopo aver subito un attacco, un'invasione, la distruzione di ogni cosa e l'assassinio di ogni uomo, (allo stesso Chaldej i nazisti uccisero il padre e quattro sorelle), si agisce con il "fai ciò che ti è stato fatto che non è peccato". E in questi casi nulla e nessuno può essere giustificato.

Ma per un comunista vero, non c'è niente di più bello che vedere sventolare, tra vento e polvere da sparo, quella bandiera rossa sul pilone del Reichstag appena conquistato.

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