Sono passati... Non so, credo quattro giorni da quel concerto. Non è passato molto tempo, anzi.

Ho pensato a lungo alle parole da scrivere, e ancora non le ho trovate. Non credo le troverò. Non credo esistano. Non credo servano.

Una domenica sera, non troppo calda, in quel di Bologna. Un locale non troppo grande, non troppo illuminato, un'amica con me.

Entrano sul palco, la gente comincia a urlare, applaudire, fischiare. Io ero lì immobile, lo sguardo fisso al palco, non mi sentivo di fare né dire nulla. Tremavo. E trattenevo a stento le lacrime.

Lo spettacolo inizia, se così si può chiamare. I suoni mi investono, mi entrano dentro, mi eviscerano. Ogni nota è una fottuta lacrima. Qui non ci sono brani, è un flusso continuo che ti scuote e ti devasta, ti eleva al cielo per poi scaraventarti a terra.

Ricordo ogni momento di quiete, ogni momento più tirato.

Ricordo come volevo ammazzare chiunque urlasse nei momenti più tesi.

Ricordo ogni cosa.

Ricordo quando hanno attaccato "Your Hand In Mine". E lì non ce l'ho più fatta.

Ho pianto, credo, come mai in vita mia. Come solo da bambino sapevo fare.

Il concerto finisce, la gente comincia a diradarsi, ad andarsene soddisfatta. Io resto immobile, fissando un punto che forse non esisteva neanche. Finché non riesco a muovermi, e allora torniamo a casa. La mia amica va a dormire, io resto sveglio tutta la notte al tavolo facendo fuori, credo, una ventina di sigarette in quattro ore.

E intanto ripenso alla magia vissuta quella sera. La aspettavo da tre anni. Una magia che non si spezzerà mai.

Ripenso a ogni momento di quiete, a ogni momento più tirato.

Ripenso a come volevo ammazzare chiunque urlasse nei momenti più tesi.

Ripenso a ogni cosa.

Ripenso a ogni lacrima versata e neanche asciugata.

E, ripensando a tutto ciò, nel silenzio più totale della notte, ne verso altre.

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