C'è qualcosa di dannatamente affascinante nel seguire le one-man-band. Si tratta di artisti solitari che, una volta chiusi in uno studio di registrazione, s'improvvisano pluristrumentisti per trasformare in musica le loro premeditate composizioni. Inutile dire che la qualità dei pezzi che ne usciranno, dipenderà solo dall'abilità esecutiva del musicista di turno. Pensando alla musica pesante, l'esempio più noto di one-man-band è di matrice nordeuropea, e l'uomo in questione si chiama Varg Vikernes, unico membro e fondatore di Burzum. Il progetto fu avviato con il lancio dell'album ononimo nel 1992, proponendo al pubblico un antitecnico ambient black metal dalla struttura lineare e dalle composizioni lunghe ed ossessivamente ripetitive. Anche nella discografia degli svedesi Bathory, esistono dei lavori composti unicamente dal membro fondatore Quorthon; uno di questi è la saga di "Nordland", che guarda caso è una delle opere più intense e profonde di tutto il viking metal. L'esaltazione dell'odinismo e del folclore norreno, sono i temi principali della one-man-band che analizzeremo in questo trafiletto. Il progetto in questione nacque alla fine degli anni novanta, nello stesso periodo in cui l'idea di comporre ed eseguire musica pesante in piena solitudine, era da poco stata concepita nei paesi scandinavi. Stiamo parlando di un musicista tedesco che ha sfruttato le sue sole abilità per concepire una serie di lavori d'ingente qualità artistica: l'affascinante Falkenbach.

Per chi non fosse abile ad approcciare con le cantilene pagane di Vratyas Vakyas, la proposta è quella di un folk metal dalle strutture dirette e lineari, ma talmente coinvolgente e affascinante da riuscire a toccare il cuore, fin dai primi ascolti. I testi vantano numerosi riferimenti alla religione dei Germani, antica tribù in parte legata alle credenze pagane dei popoli scandinavi. Questo "Tiurida" (uscito nel 2011 come quinto album d'inediti per Falkenbach), è la trasposizione musicale di tutto questo.

L'inizio è spiazzante: dopo i segnali di carica dell'inquieta intro (con i corni vichinghi riprodotti dalle tastiere) ci si aspetterebbe l'improvvisa esplosione di un delirio sonoro, ma non è così. Abbiamo invece una chitarra acustica e un flauto sintetizzato, che creano una gradevole e solare melodia che ha il compito di avviare il primo mid-tempo del disco. L'opener si chiama "Where His Ravens Fly" (Dove volano i suoi corvi) che è un chiaro riferimento ad Odino, ed a Huginn e Muninn, i fedeli corvi del dio nordico. Il mito racconta che questi uccelli sorvolano ogni giorno il mondo dei mortali, allo scopo di raccogliere informazioni, per poi fare ritorno al tramonto, quando si poseranno sulle spalle di Odino, con l'intento di sussurrargli quanto hanno visto. Imperdibile il refrain dove Vratyas invoca Wuotan (ossia Odino, nell'antico dialetto Germanico).

Un muro di chitarre maligne introduce la successiva "Time Between Dog and Wolf", pezzo dalle forti tinte black, armonizzato dai chorus nordici e sorretto dall'ossessivo scream delle vocals. A questo punto, l'album recupera l'atmosfera folk dell'opener, che torna in risalto prima con la boscaiola "Tanfana" poi con "Runes Shall You Know" (una delle hit di questo disco), che cela al suo interno qualche robusto passaggio epico nelle parti strumentali. Ma il meglio deve ancora venire: "In Flames" è puro furore nordico, per il brano più viking di questo lavoro. Una canzone che odora di razzia vichinga, dove tornano le voci sporche, e le chitarre si fanno grevi e solenni, mentre la batteria scandisce il suo incedere cadenzato e autorevole. La potenza del brano è (in parte) tenuta a bada dai fraseggi acustici, in secondo piano. Arriva infine "Sunnaved" conclusiva ed ennesima ode al folclore teutonico, il cui eco sembra uscire dai pini a scaglie, disseminati fra le montuose e incontaminate foreste del nord.

Esiste anche una bonus track, presente solamente nell'edizione in digipack: "Asaland" è senza dubbio una piacevole stumentale, ma che odora troppo di riempitivo. Il motivo della sua presenza è forse giustificato dalla scarsa durata dell'album (sette tracce per quaranta minuti di musica), perciò è probabile che la Napalm Records abbia voluto includere quattro minuti in più, che però non aggiungono valore ad un disco già emozionante nella sua ordinaria forma.

Federico "Dragonstar" Passarella.


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