E' probabile che non sia il miglior film di Fellini, ma poco ci importa. In pieni anni Ottanta, dopo una sequenza impressionante di capolavori (da "La strada" a "La dolce vita", da "Otto e mezzo" ad "Amarcord"), una piccola crisi creativa ci può anche stare. Non è la fine del mondo. Magari un pò viene da arrabbiarsi nell'assistere impotenti ai deliri onirici forzatamente stridenti di "Intervista" (forse il film peggiore del Maestro di Rimini), certo è che la visione di "Ginger e Fred" risulta abbastanza appagante.
Come detto, "Ginger e Fred" non è un capolavoro, lo sfiora, ma non lo è. Perchè è un pò pasticciato, tirato eccessivamente per le lunghe, troppo decadente e poco sognante, cinico come un film di Ciprì e Maresco (che all'epoca erano ancora quasi fanciulli), ma sottile ed elegante come solo Fellini sapeva essere. Doveva essere il grande riscatto dopo il mezzo passo falso di "E la nave va" e un opera maledettamente incompiuta come "La città delle donne": in realtà, "Ginger e Fred" si dimostrerà un film a sè, vicino a nessun altro, capace di parlare della società italiana di metà anni Ottanta rivolgendo lo sguardo al futuro, agli impietosi anni Novanta.
Per andare sul sicuro, Fellini ingaggia i suoi due attori preferiti: l'alter-ego Marcello Mastroianni (anch'egli in fase decadente), e Giulietta Masina, grande attrice, nonchè sua moglie. Già dal titolo sono chiari gli intenti: parlarci di cinema. Ginger, come Ginger Rogers, e Fred, come Fred Astaire. E così, la malinconica storia di due ballerini caduti nell'oblio dopo anni di grandi successi, e frettolosamente richiamati a lavorare da un moderno, gigantesco, tracotante, network televisivo, si trasforma in una sottile riflessione sull'amore, lo show-business ed il potere, spesso barbaro, del mezzo televisivo.
I due protagonisti, famosi in un epoca che i giovani tendono a dimenticare, oscurati dalle tante, troppe starlette incapaci di spiaccicare due parole in croce, si ritrovano per un ultimo emozionante show. Lo show-business, quello che ti costringe a continuare, a fermarti, a morire, l'importante è che "the show must go on", e che tutti, produttori e direttori esecutivi, siano felici e contenti. La televisione è vista come l'altra faccia del demonio, un apparecchio stritola cervelli ed ammazza storia, un mezzo che cancella la coscienza e la memoria collettiva, a favore di spettacoli sempliciotti e nazionalpopolari (erano gli anni di "Portobello" e "Fantastico"). La danza di Ginger e Fred, più che malinconica è totale, definitiva, la fine di un sogno e l'inizio (forse) della realtà. Il potere della televisione è spietato, sembra dirci Fellini, e la sua è una visione, per così dire, avanguardistica, è una lucidissima visione che col tempo non ha perso nemmeno un grammo della propria forza, anzi, è stato proprio il tempo a rafforzarne la tesi.
Mastroianni e la Masina volano leggeri su un mondo volgare e stupidamente capitalista, sono loro il vero spettacolo, non gli spot pubblicitari che hanno rovinato almeno due generazioni. Verrebbe da citare Pier Paolo Pasolini, quando un giornalista, chiedendo al regista cosa ne pensasse di Carosello, si sentì rispondere: "Una cretinata!". E' probabile che il giudizio di Pasolini fosse eccessivamente duro, ma certo è, che i successivi spot pubblicitari furono davvero una cretinata. E Fellini li prende in giro: ne inserisce moltissimi (tutti finti, tutti girati per l'occasione) all'interno del film. Poi, subito dopo, la macchina da presa si sposta sui due protagonisti. Più forti e 'sensazionalistici' di tutte le pubblicità del mondo.
Poi, certo, la coerenza a volte tradisce anche i Maestri. E Fellini, a fine anni Ottanta, girerà un celebre spot passato alla storia (ricordate? Il treno in movimento ed i fondali che cambiavano velocemente), ma lo fece esclusivamente perchè costretto. In un paese come l'Italia, in cui si può andare orgogliosi per avere avuto una tradizione cinematografica invidiabile, ed uno star system che per quasi trent'anni (da inizio anni Cinquanta a metà anni Settanta) fece impallidire gli studios americani, si finanziano film mediocri come "Nuovo cinema Paradiso" e non si ha il coraggio di produrre un film di Fellini. Già, perchè la storia è anche questa: a fine anni Ottanta, Fellini non riuscì a trovare nessun produttore disponibile a produrgli uno straccio di pellicola. I soldi se li dovette procurare da solo. Come? Girando spot.
"Ginger e Fred" è però anche qualcos'altro. E' il film che non vedrete mai e di cui non parlerete mai se aderite a Forza Italia. Perchè, per dovere di storia, fu proprio questa pellicola la prima a prendere in giro, e ad attaccare ferocemente la figura di Silvio Berlusconi, all'epoca non ancora intrallazzato in cose di politica. L'attacco alle tv commerciali che Fellini lancia all'interno del film, è il primo moto d'insurrezione che si ricordi nei confronti del Grande Capo di Arcore. Alla faccia di Moretti e del suo "Caimano" e di tutti quelli che pensano che per attaccare Berlusconi si debba sbracare in volgarità inutili: ecco, "Ginger e Fred" è l'esempio di come si possa fare satira con classe ed assoluta eleganza.
Incombe il pessimismo, ma è d'obbligo. Nessun accenno di protesta nei confronti dello strapotere televisivo, il pubblico non fa mai nemmeno una piega, un pessimismo, se vogliamo, quasi raggelante: è come se i cervelli della popolazione italiana siano stati barbaramente uccisi e, come durante l'epoca hitleriana, tutti obbediscano al capo senza muovere nemmeno un muscolo. Non c'era bisogno di Daria Bignardi o Pietro Taricone: il Grande Fratello, Fellini l'aveva già inventato. Poi però restano delle emozioni indelebili: i volti di Mastroianni e della Masina (bravissimi), le musiche suadenti di Nicola Piovani, tutto il mestiere scenografico di Dante Ferretti, e la meravigliosa fotografia di Tonino Delli Colli. Poi c'è Fellini. Basta ed avanza.
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