E' la triste storia dei gruppi di supporto dei grandi nomi. E chi li sente? Sei preoccupato, nell'ordine, di trovare un posto degno, di evitare che ti schiaccino, e a pensare se mai ritroverai la macchina che hai lasciato al parcheggio...
Mi capitò, ordunque, proprio al concerto dei POLICE (mica cazzi) a Torino, qualche anno fa. Entro col giusto ritardo proprio finchè 3 baldi giovincelli, col sole ancora alto che rende inutili le luci fantasmagoriche pronte per l'evento dell'anno, salgono sul palco tra l'indifferenza di un Delle Alpi già in fibrillazione. E iniziano a suonare.
Gli do un po' d'attenzione perché sono educato, e dico: "beh, ho sentito di peggio". Col passare dei minuti invece, le mie orecchie e quelle della maggior parte dei presenti, rese snob dalla promessa dell'imminente esplosione della musica dei Police, si abituano al sound un po' ruvido ma pop al punto giusto del trio che "gliela ammolla" alla grande. BRAVI, davvero. Ottimo ritmo, belle melodie, il giusto atteggiamento sul palco. E quella voce, così particolare... già sentita da qualche parte. Poi però loro salutano, parte la magia di Gordon Sumner & C. ... e non ce n'è più per nessuno.
Scopro solo su internet, dopo qualche giorno, che trattatavasi dei "FICTIONPLANE"... "Fiction che?".
Sconosciuti ai più, non appaiono nelle discografie ufficiali europee. Boh. Inizia la sfida e impiego quasi 3 anni a trovare il loro cd, a Los Angeles, in sconto, per giunta. Lo metto orgoglioso nel cd della macchina a noleggio e mi accorgo che lì li conoscono davvero tutti. Misteri della discografia mondiale.
Arrivando alla recensione, non mi dilungo. Ottimo il sound, che si basa principalmente su incisi molto ritmici (quasi funky in certi passaggi) di chitarre appena distorte. Sound molto americano, molto "west coast", forse giusto un tantinello ripetitivo a consuntivo di 13 tracce non troppo dissimili tra loro. Grande voce, dai toni alti da fare rabbia, ma con le giuste sfumature armoniche; base ritmica semplice ma di spessore, chitarre in evidenza senza strafare, basso poco protagonista.
La hit di riferimento è "Two sisters", che consiglio a tutti di ascoltare almeno una volta perché dà immediatamente un'idea chiara di che cosa parliamo, in modo da consentire ai prezzemolini della critica gratuita di buttare cacca in velocità, e ai curiosi della musica un po' di nicchia, di apprezzare dei giovani talenti.
Bella "Death Machine", valida "Anyone", ma è l'insieme del disco, comunque, a colpire; si ascolta con facilità, e alcune melodie restano subito in testa, tanto da costringerti al "rewind" spesso e volentieri. C'è anche un po' di acustico con "Drink.", veramente ben strutturata e accattivante, che mostra un talento compositivo maturo, capace di infilarsi con agilità nel mare inquieto e pericoloso del tanto bistrattato POP.
Per dovere di cronaca segnalo un paio di riempitivi un po' traballanti, e alcune melodie forse addirittura un po' pretestuose, come in "It'a a Lie" (qua mi capisco solo io...).
Il cd non ha tradito le mie personalissime attese e, pur non avendomi sconvolto l'esistenza, lo consiglio a tutti gli amanti del genere pop, poco pop, forse un po' grunge, abbastanza rock, poco roll, pochissimo folk.
Ah già, il cantante è il figlio di Sting... giusto per la cronaca (ed ecco svelato dove avevo sentito quella voce così particolare...). Onori al merito per non averlo sbandierato ai 4 venti.
Baciamo le mani.
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