PICCOLA PREMESSA: Mi scuso con gli utenti di DeBaser, anche con coloro che quotidianamente mi sfottono, per questo doppione. Ma siccome quest'album era stato recensito solo una volta, ho pensato di dire la mia.

Da bambino, i miei nonni mi spaventavano con la storia dei giganti. Ogni volta mi chiedevo: "Ma esistono veramente i giganti?". Ogni volta mi rispondevo di sì. Mi pareva realmente strano che due persone così dolci e così buone come i miei nonni potessero mentire.
E invece, mentivano.
Poi fu il tempo della favola di Babbo Natale. I miei genitori mi facevano credere che ogni Natale un vecchio carico di dolci si calasse giù per il nostro camino e portasse un sacco di regali. Mi pareva impossibile che anche in questo caso i miei genitori dicessero delle bugie.
E invece, dicevano delle bugie.

Un po' di tempo fa, leggendo un famoso romanzo, mi stavo chiedendo: "Esistono i cosiddetti geni?". Rammentandomi le esperienze passate, ho evitato di chiedere ai miei genitori e ai nonni. Una domanda del genere se la sarà fatta sicuramente anche il mitico tiranno Gerone, antico re di Siracusa. Egli voleva infatti sapere se nella sua corona fosse contenuto solo oro o se l'orefice incaricato della realizzazione dell'oggetto avesse aggiunto anche una parte di argento, per renderla meno preziosa. Come tutti sanno, chiese aiuto ad Archimede, il quale ("Eureka!") scoprì la truffa in poco tempo. Sicuramente Gerone avrà considerato Archimede un genio. E credo non ci sia niente da discutere. Ma nell'anno 2006, ci sono geni? Come Archimede, nel suo campo, no. In altri campi, sì. Indubbiamente.

Anno 1977: nasce a Londra un bambino di nome Kieran Hebden, da padre israeliano e madre inglese.
Gli anni passano in fretta. Il giovane Kieran, in quanto a risultati, non eccelle al college. Non si sa cosa voglia fare nella vita. Una cosa è certa: gli piacciono proprio tanto i computer. Specialmente i portatili. Ma non ne possiede uno. Cerca quindi di chiedere un prestito prima ai suoi genitori, poi alla banca, infine al college stesso. Tutte e tre le richieste inesorabilmente negate. E quando ormai è sul punto di gettare la spugna, riesce a trovare un amico generoso e soprattutto intelligente (in quanto capisce la passione di Kieran), che concede a versare nelle mani dell'anglo-israeliano quelle banconote verdi che servono per ottenere il tanto agognato pc.
Apriti cielo. E' una vera e propria escalation. Nonostante le ridotte prestazioni della memoria artificiale, Kieran riesce a comporre dei veri e propri capolavori, tenendo in considerazione anche la giovane età (circa diciotto anni). Per lui fioccano da ogni parte proposte e collaborazioni, tutte estremamente vincenti. Indubbiamente, per essere un genietto, non è certo incompreso. E i suoi album (elettronica dalle influenze indie e, parzialmente, pop) fanno il boom fra gli appassionati del genere.

Anno 2004: dopo aver assunto il nome d'arte di Four Tet, il nostro amico Kieran dà alle stampe un ennesimo capolavoro, chiamato "Everything Ecstatic". Un nome imponente, certo, ma che rispecchia pienamente quello che è in realtà questo contenitore di piccoli mondi a sè stanti, uno diverso dall'altro e contemporaneamente così simili. Un controsenso continuo. Il disco inizia con "A Joy", che inizia con un giro di basso quasi ossessivo seguito da una batteria roboante e lui, Four Tet, che spadroneggia dall'alto con il suo computer, una macchina da guerra che riesce a mutare lo schema ritmico iniziale di una canzone dance per trasformarlo in una melodia stratificata, chiaro riferimento all'album "Rounds". Il disco scorre via come un aratro su un campo fertile: ogni composizione lascia un segno tangente e ben definito. E così ci godiamo "And Then Patterns" che ha una melodia squisita sopra una base sincopata, oppure "Turtle Turtle Up" che inizia con dei beat dal sapore estremamente acido, addolciti in parte dall'elemento base dell'esistenza di Hebden (i campanelli) e successivamente rinforzati con dei giri di tastiera rockeggianti che annullano l'azione benefica e, in qualche modo positiva, dei piccoli suoni precedenti eppure tanto lontani.

Un disco che incede con la convinzione di Annibale di fronte alle Alpi, ma che si trova davanti non dei romani spaventati, bensì dei comuni mortali incantati, anzi estasiati prendendo spunto dal titolo, di fronte alle evoluzioni elettroniche compiute da Four Tet. "High Fives", terzo singolo estratto dal lavoro, è il capolavoro dell'album. I bassi iniziali provocano un rimbombo notevole se sparati al massimo (con conseguenti bestemmie stile Mosconi dei miei vicini), ma in seguito la tastiera di Hebden si inventa un cinguettìo in mezzo alla parte elettronica. L'esempio del cut and paste perfetto, in quanto il musicista "taglia" alcuni loop e ci incolla sopra gli effettoni tipici del suo stile (rumorini, campanelli, xilofoni e via dicendo). Come al solito il risultato è magnifico, e per chi volesse gustarsi appieno questa canzone consiglio la visione del video in rotazione su Flux, un qualcosa di unico (una gocciolina di pioggia in mezzo ad un acquazzone che interrompe il suo cammino dalla nuvola a terra per poi prendere vita e cominciare a girare per la città, riflettendo con il suo scintillìo il volto di alcune persone: l'ultima è proprio Hebden).
Degna di nota è sicuramente anche la seconda traccia, intitolata "Smile Around The Face", il primo singolo ufficiale del cd, che delizia gli ascoltatori con un accostamento riuscitissimo tra una melodia allegra, quasi circense, gioconda, assieme a dei stacchi di piatti e improvvisi scampanellìi.

La mia impressione? Beh, diciamo che dopo essermi ascoltato il cd per intero, fra goccioline di pioggia sospese nell'aere e cinquantenni alle prese con nipotine terribilmente vivaci, non ho potuto fare a meno di arginare l'improvviso "Smile Around The Face" di soddisfazione per aver trovato qualcosa di unico e, forse, irripetibile. Un capolavoro che consiglio vivamente a tutti coloro i quali avessero particolari affinità con l'elettronica. Ma anche (e soprattutto) no. Buon ascolto.

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