All'estero ci vedono così. Mandolino, pizza e mafia. E la colpa, un pò, è da attribuire anche a Francis Ford Coppola.

Nato a Detroit ma formatosi in quel di New York, Coppola è un americano anomalo: non solo perchè il padre Carmine suonò il flauto al cospetto di Arturo Toscanini, e nemmeno perchè sua madre, di professione attrice, si chiamava Italia. E' anomalo perchè, nonostante un decennio di grandi capolavori (i Settanta), e due decenni (gli Ottanta ed i Novanta) pieni zeppi di buoni film, resta un artista dalla mentalità tipicamente europea. Quando racconta l'America non può fare a meno di raccontare l'Italia; quando narra le avventure che sconvolsero le giovani vite spedite in Vietnam cita Richard Wagner; e suggella la carriera realizzando un film dedicato ad uno dei più enigmatici personaggi europei: Dracula.

Coppola nasce come aiuto-regista di Roger Corman, ma la sua attività principale è quella dello sceneggiatore. E di sceneggiature ne scrive parecchie, alcune persino premiate con l'Oscar ("Patton - Generale d'acciaio"), ma nessuno gli darebbe due lire per finanziarlo nella realizzazione di un film. E Coppola allora decide di rischiare a proprie spese. Mette abbondantemente mano ad un romanzo di Mario Puzo e crea "The Godfather". Il film, che uscirà nelle sale nel 1972, è una potentissima storia di una famiglia tipicamente patriarcale, in cui i valori dell'onore, del rispetto e dell'amicizia tentano di fondarsi con i codici d'onore tipici della mafia. La storia è potente perchè insegue un filo logico di ferro: sucesso e crisi della famiglia Corleone sono raccontati attraversi diversi piani narrativi. L'apparente calma di molte sequenze si scardina qualche minuto dopo intervallata da violenze efferate tipiche del più classico clichè mafioso. Eppure qui di clichè ce ne sono pochi: la visione che Coppola dà della mafia non è nè di supponenza nè di affetto, è una visione lucida, distaccata, partecipe ma non smielata.
Memorabili almeno un terzetto di sequenze: l'apertura col matrimonio della figlia del padrino in corso (quasi mezz'ora); la celeberrima testa di cavallo che la mafia fa trovare nel letto di un poco accorto produttore cinematografico e la morte, ictus letale, che colpisce il padrino mentre gioca con il proprio nipotino. I toni sono altissimi, un misto sapientemente calibrato di pathos e tragedia greca, col tema del tradimento (tipico del teatro classico) che ricorre spesso durante il film. Naturalmente, tra i temi affrontati da Coppola non manca quello spinoso dell'intersezione e convivenza di mafia e società civile, ma resta un pò in superficie, e verrà narrato meglio, e più approfonditamente, in "The Godfather - Part II".

Ovviamente, in questo genere di film la trama conta fino ad un certo punto. Senza attori di rango o caratterizzazioni forti si rischia di sbagliare mira. Per la parte del padrino Coppola, inizialmente, convocò una serie di attori, in verità, poco adatti: Ernest Borgnine, Orson Welles, George C. Scott, Burt Lancaster. La spuntò Marlon Brando. La caricatura, quasi irreale, che Brando fa del padrino, da sola, vale più di metà film: cotone in bocca per gonfiare le guancie, capelli grigi, camminata sbilenca, il 47enne attore dimostrava vent'anni in più, ma era un padrino praticamente perfetto. Memorabile quando sentenzia frasi quasi shakesperiane, indimenticabile quando gesticola a mò di approvazione o disapprovazione. Epocale quando, ad inizio film, decide di concedere un favore ad un vecchio amico, e monumentale quando inscena una morte tanto tragica quanto estremamente toccante. E' lui l'icona dell'intera pellicola, nonostante per più di metà film non compaia, e quando si parla di "The Godfather", la prima cosa che ci viene in mente, è la faccia sformata di quel gigante di Marlon Brando. Accanto a lui, Coppola scelse un cast relativamente giovane di sicuro successo: James Caan, Robert Duvall, John Cazale, Diane Keaton, Talia Shire (poi Adriana in "Rocky"), e lo semisconosciuto Al Pacino, che da qui intraprenderà una carriera luminosissima.

Il film vinse 3 Oscar (bruciarono le 8 statuette vinte da "Cabaret" di Bob Fosse), ed una di queste venne assegnata a Marlon Brando, che sbaragliò la concorrenza di Laurence Olivier e Peter O'Toole. Brando, in polemica con la giuria, non andò a ritirare l'Oscar e mandò sul palco un'attrice vestita da indiana, spacciatasi per vera apache. Il suo discorso in difesa degli indiani fece scalpore, e Brando, nonostante pellicole di grande rispetto ("Ultimo tango a Parigi", "Apocalypse Now", non ricevette più nemmeno una nomination).
Visto il successo mondiale di "The Godfather", la Paramount propose a Coppola di girarne un seguito. E così fu. Nel 1974 vide la luce "The Godfather - Part II". C'è una vecchia regola ad Hollywood che dice: il secondo è sempre inferiore al primo. In parte è vero, ma mai come questa volta la regola venne tradita. Il seguito del primo padrino è, seppur meno famoso del precedente, superiore al predecessore. Più o meno Coppola confeziona sempre lo stesso film, con grandi momenti di calma e lunghe sparatorie sanguinolente. La storia però si sposta sulla giovinezza del boss Corleone, don Vito, quello che due anni prima interpretò Marlon Brando. Vi si narra del suo arrivo a New York nei primi anni del Novecento, ed in parallelo continua la storia del primo film. Al Pacino è il protagonista assoluto della pellicola, ed è, nelle intenzioni di Coppola, l'esempio della nuova mafia. Morto Brando, quindi don Vito, Al Pacino/Mike Corleone decide di gestire la famiglia in maniera diversa: più spavaldo e nello stesso tempo più insicuro, Mike arriverà persino ad uccidere il proprio fratello Fredo accusato di tradimento.

Un'angosciante parabola sull'America e sulla politica, laddove gli interessi della mafia collimano con quelli degli eventi politici mondiali Mike si muove alla perfezione, destruttura la famiglia dal di dentro e riesce a togliersi dalle spalle il fastidioso fantasma del padre Don Vito. La società civile è un mondo troppo burrascoso, e Mike pensa che la vera rigidità e disciplina stia nella famiglia, ma l'American Dream diventa un incubo senza rallentamenti, una sorta di compendio finale fra morti sospette, uccisioni comandate e tradimenti assortiti. Sintomatica, in questo caso, la scena in cui Mike resta silenziosamente appartato nella propria stanza dopo aver fatto uccidere tutte le persone a lui più carte. Shakespeare in versione hollywoodiana. Senza ovviamente dimenticare Robert De Niro, il don Vito giovane. La sua storia è un pò in ombra, forse anche poco raccontata, ma alcune scene sono davvero magistrali, valga su tutte l'attentato con sparatoria nel paese siciliano di Corleone. Una delle migliori interpretazioni di De Niro, e che abbia la coppola in testa o che vada in giro incravattato fa sempre un certo effetto vederlo sorridere sornione dopo aver visto in faccia la morte altrui. "The Godfather - Part II" conquistò un pò di meno le simpatie del pubblico, ma è un rarissimo caso di film d'ambiente votato alla causa del commerciale. In sostanza: come fare soldi senza stuprare la propria arte. Pacino non vinse l'Oscar (ma se lo guadagnò De Niro) e altri 7 premi piovvero sulla testa di un meravigliato Francis Ford Coppola. Meravigliato ma non troppo, visto che è proprio con questo film che il regista decide di lasciare la propria pesante impronta: la sequenza in cui vengono narrate le vicende che portarono alla caduta del gangsterismo in quel di Cuba sono fra le più belle girate dal regista. Un plauso particolare a Gastone Moschin, sempre sottostimato interprete italiano, qui poco impegnato, ma in un ruolo che, a lungo andare, lascia il segno.

La saga poteva anche finira qua. Coppola invece decise di continuarla e girò un terzo film nel 1990. Indubbiamente inferiore ai precedenti, un pò perchè molti caratteristi e molti interpreti declinarono gentilmente l'invito, un pò perche Al Pacino diventa il protagonista principale e si concede eccessi di protagonismo francamente trascurabili, ed un pò, soprattutto, perchè i tempi sono cambiati. Poche le scene memorabili, una sceneggiatura un pò sbilenca, un clima da ritrovo cordiale un pò troppo insisitito, ma certo un film superiore a qualsiasi boiata hollywoodiana di questi ultimi anni. Perchè Coppola sarà anche stanco, ma quando vuole ha la grinta di un leone, e l'idea di intrecciare mafia e Vaticano è comunque un bel colpo di genio. E mettere in discussione la morte di Giovanni Paolo I, il Papa durato solo 33 giorni, fa onore ad un regista comunque coraggioso. Malgrado la commercializzazione abbia purtroppo preso il sopravvento. Ma lo spettacolo, indubbiamente, è sempre di grande livello.

Se mi dovessi esprimere in voti (cosa che può risultare banale ma semplifica molti concetti), darei 9 a "The Godfather", 10 a "The Godfather - Part II" e 7 a "The Godftaher - Part III". Sarebbe, in stellette, un 4,5.

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