Quando si scrive una recensione si dovrebbe tentare di esprimere una posizione, se non originale visto che non si è mai soli a parlare di un qualcosa, cosa buona e giusta, almeno di livello personale, emozioni et similia, così da rendere lo scritto non del tutto simile ad un noioso trattato didascalico. Purtroppo quando si parla di un'opera con quasi duecento anni di storia si hanno alle spalle altrettanti anni non solo di commenti e critiche ma anche di esposizioni emozionali che statisticamente rendono una propria esposizione accostabile a molte altre, più antiche e, probabilmente, più intelligenti. Esiste sempre la possibilità di voler allontanarsi a tutti i costi da quella che è una linea comune ed accettata ma il rischio è quello di cadere in facili ed inutili boutade provocatorie.
Dico questo perchè in questa recensione del "3 Maggio 1808", olio su tela dipinto da Goya nel 1814 e ora esposto al Prado di Madrid, leggerete cose che tutti conoscete benissimo, e che si possono trovare già in enciclopedie e sulla rete, ma pure un'idea così personale da sembrare una bestemmia a livello di Storia dell'Arte. Per togliermi subito questo pensiero devo fare un distinguo: in arte esistono le correnti ed esistono pure le definizioni, spesso alle prime vengono associate le seconde ma altrettanto spesso le seconde possono esulare dalle prime. Con il termine "Espressionismo" si è soliti indicare un'epoca artistica esplosa nei primi venti anni del XX secolo ma a voler dare una definizione, e la copio da una trovata in rete che mi è piaciuta, espressionista è qualcosa che "pone l'attenzione su un acuto sentire soggettivo piuttosto che sull'osservazione oggettiva". Detto questo tutti sono d'accordo che un paio di artisti, che non cito, indovinateli, tra XV e XVII secolo siano stati espressionisti prima del'"Espressionismo" duro e puro, ma, a mia memoria, nessuno ha mai accostato il grande Goya, o una delle sue opere, al termine: io lo faccio e se avete pazienza nelle prossime righe, forse, riuscirò a spiegarvi questa mia idea.
Raramente in pittura si è mai raggiunto un livello così drammatico come quello raffigurato in questo dipinto, la scena è cruda: è buio, un gruppo di soldati francesi sta per fucilare, dopo averne uccisi altri, presenti nel dipinto, dei civili disarmati, probabilmente arrestati durante i moti del giorno precedente, cui Goya dedicò il "gemello" "El dos de Mayo de 1808 en Madrid". Ad illuminare la scena una lampada: a destra i soldati sono dipinti di lato, in modo di celare le espressioni dei volti, in mezzo futuri condannati presi in gesti di sconforto, a sinistra le vittime, di fronte, qualcuna sgomenta, qualcuna fiera, arrabbiata, impavida. La figura centrale, in camicia bianca, è colta con le braccia alzate, ad offrire, orgogliosa, il petto ai carnefici.
La forza di questo quadro è duplice: da una parte si è affascinati dalla descrizione "fotografica" e feroce di una realtà obbiettiva, l'accaduto, dall'altra la soggettività del pittore sorprende. La forza evocativa con cui descrive la scena richiama sentimenti fortemente pacifisti, ripudianti guerra e violenza, ma anche patriottici, il popolo spagnolo che si ribella all'invasore napoleonico, la foga di una passione nata dal popolo, sempre prima vittima di potenti ed usurpatori. In questo senso Goya non è e non vuole essere obiettivo: "butta fuori" un profondo senso di delusione drammatica che prova mentre i soldati, ma in loro c'è lo stesso Napoleone, tradiscono gli ideali illuministi della Rivoluzione francese e le promesse di progresso e di rivincita dell'uguaglianza fraterna tra le genti. Questo è profondamente espressionista: quell'uomo, inerme, in camicia bianca esprime, nel suo fiero cipiglio, l'orrore profondo che l'artista provava e allo stesso tempo la sconfitta di tutti gli ideali umani e umanisti.
Inutile dire che qui la tecnica di Goya è al massimo: la pennellata sicura rafforza le sue doti grottesche ed il gioco di chiaro-scuri influenzerà tutta la pittura dei successivi 150 anni, inoltre da questo dipinto in poi, anche se a sua volta, probabilmente, influenzato un'opera di qualche anno prima di Jacques-Louis David di cui parlerò, seppur indirettamente, in un'altra recensione, la guerra, in pittura, non sarà più trattata solo dal punto di vista celebrativo ed eroico ma anche per risaltarne l'orrore e le negatività: chiedere a Picasso, per esempio.
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