E' difficile rincorrere i suoni, cercare di afferrarli poi è un'impresa ancora più ardua: non puoi prendere ciò che per sua stessa natura è inafferrabile. L'indipendenza di una nota, o per essere precisi di un'insieme di note che concorrono, unite a melodie ed arrangiamenti, alla creazione di una composizione è così forte ed evidente, da mostrare come esse siano talmente altre rispetto al mondo che le circonda da vivere in una dimensione propria, fatta da colori ed odori che fanno parte di un background intimo ed indivisibile.
Mi viene in mente la valigia, o meglio il microcosmo che essa rappresenta e che, grazie a ciò che contene, racconta la personalità del suo proprietario: da dove viene, dove è stato e dove vorrebbe andare. Ecco, la musica si porta dietro il suo bagaglio a mano e non se ne separa mai! Puoi portarla in casa tua ma non ne assorbirà di certo l'essenza, anzi si metterà comoda e riempirà l'ambiente dei suoi profumi, dei suoi colori e delle sue suggestioni, modificandolo irrimediabilmente e, aggiungo io, in meglio. Infatti l'approccio verso un disco non prevede altro che l'entrare in contatto con un pensiero, un'idea, una concezione dell'arte e delle emozioni propria di un artista, di conseguenza si partecipa ad un incontro dialettico il cui risultato sarà sicuramente un passo avanti per ambedue le parti in gioco: l'uditore, sia che il lavoro gli sia piaciuto o meno, avrà comunque arricchito il suo paniere d'ascolto, mentre il compositore sarà riuscito, nel bene o nel male, a proporre il suo messaggio ad una persona in più; e farsi ascoltare oggi è un privilegio che purtroppo sempre meno persone hanno!
Approcciandomi in questo senso, ed aggiungendovi un pizzico di desiderio di allontanamento e di stacco dallo quotidianità, mi sono avvicinato ad un'opera e ad un musicista che fino ad ora non avevo ancora ben studiato ed apprezzato. Mi riferisco al grande pianista Franco D'Andrea, conosciuto ai più per aver militato nel gruppo jazz-rock dei Perigeo, un ensemble spesso dimenticato ma che ha indubbiamente contribuito a dare lustro alla scena progressive italiana degli anni Settanta. L'album di cui voglio parlare ha come titolo “The Siena Concert”, una denominazione rapida ed efficace, capace di creare immagini immediate anche grazie da un artwork semplice ma allo stesso tempo evocativo: guardate la copertina del disco e fermatevi a pensare alle orme che possono aver calpestato il selciato in questione e alle storie di chi le ha prodotte, immediatamente si apre un universo di possibilità e tutto da estremamente piccolo diventa di colpo grande, forse anche troppo perché una mente possa trovare un ordine in mezzo a così tanto materiale. Fortunatamente c'è la musica ad orientarci e guidarci, portando le sue coordinate interpretative al fine di canonizzare certe suggestioni all'interno della griglia interpretativa del Jazz più alto ed emozionante, quel tipo di Jazz che ti fa tendere l'orecchio per cogliere ogni tipo di sfumatura relativa ad un determinato suono, che ti fa amare quel gioco di silenzi in grado di farti assorbire quanto appena ascoltato allo scopo di prepararti a quello che verrà dopo. Ti senti preso per mano, quasi protetto mentre cammini sulla strada di cui parlavo sopra, vieni guidato tra le varie storie ed alla fine ti ritrovi protagonista dell'esperienza sensoriale stessa, basata su sei medley ricchissimi di sfumature e dettagli, carichi di grandissima forza interpretativa che si fonde con un interplay molto denso e preciso, un dialogo tra gli strumenti formidabile e suggestivo, capace di comunicare anche attraverso un uso sapiente dell'atmosfera, creando aspettative che poi vengono effettivamente rispettate. Live come il “The Siena Concert” sono delle vere e proprie gemme musicali e soprattutto culturali, quel tipo di cultura che mi piace accompagnare con l'aggettivo “del bello”, un prodotto artistico che possiede un'estetica forte pur vestendosi con abiti semplici: il Franco D'Andrea Quartet non ha bisogno di ricorrere ad artifici da sala di produzione per risultare convincente, gli basta una registrazione pulita e il dado è tratto!
Per chiudere non posso che dirmi veramente orgoglioso di poter ascoltare un lavoro di così gran caratura, un'opera che per me è già un classico della discografia jazz dal vivo, accanto a giganti come: “The Complete 1961 Village Vanguard Recordings” di John Coltrane e “At The Blue Note” del Keith Jarrett Trio. Magari per qualcuno starò esagerando, però a me album come questi mi fanno sentire fiero di essermi appassionato ad una forma d'arte così entusiasmante come la musica.
Franco D'Andrea Quartet: Franco D'Andrea, piano; Andrea (Ayace) Ayassot, alto and soprano sax; Aldo Mella, bass; Zeno De Rossi, drums.
Elenco e tracce
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