Prima che il #MeToo rivendicasse più o meno istericamente l'importanza delle donne forti, il cinema aveva già saputo creare figure femminili memorabili e senza intrappolarle nei cliché moderni dell'eroina aggressiva, invincibile e spesso insopportabile. Julie Kohler, la sposa vendicatrice di La Mariée était en noir, ne è un esempio impeccabile: glaciale, determinata e e lontana dagli eccessi della "Sposa" di Tarantino.
Il film si apre con il misterioso e sventato tentativo di suicidio di Julie. Apparentemente rasserenata la donna finge di partire per una “convalescenza” ma resta nella stessa città e inizia un piano che sembra incomprensibile. Con calma inquietante, si reinventa per avvicinarsi alle sue vittime partendo dall’affascinante donnaiolo Bliss al patetico solitario Coral, fino al benestante e arrogante Moran. Nella prima metà del film, il mistero ruota attorno alle sue motivazioni, svelate durante il terzo omicidio, quando Julie racconta il tragico incidente che ha dato il via alla sua vendetta. Da quel momento, il film cambia ritmo: non ci si chiede più perché Julie agisca, ma se riuscirà a completare la sua vendetta.
Vestita esclusivamente di bianco e nero, simbolo di un mondo ridotto alla dicotomia tra vita e morte, Jeanne Moreau incarna Julie con una perfezione glaciale. È un fantasma senza più personalità, mosso solo dal desiderio di giustizia o distruzione - dipende da come lo si voglia vedere - e per avvicinarsi alle sue vittime si adatta di volta in volta ai loro ideali (la signora sofisticata, la maestrina, la prostituta). Il punto culminante è l’artefatta "musa" del pittore Fergus, che per un istante sembra quasi poterla redimere con il suo presunto amore. Ma l’inevitabilità della vendetta prevale, e Julie chiude il cerchio con un finale imprevedibile: si fa arrestare di proposito per raggiungere la sua ultima preda
Sembra che Truffaut non amasse il più hitchcockiano dei suoi film, ma la sceneggiatura, basata sul racconto di Cornell Woolrich, è impeccabile: tensione crescente, colpi di scena ben calibrati e un ritmo che non perde mai un colpo. La colonna sonora di Bernard Herrmann, famoso per la sua collaborazione con Hitchcock, è il tocco di classe finale in un film che fa volare via 107 minuti senza un momento di noia.
La Mariée était en noir non è solo un thriller elegante e stilizzato; è una lezione su come scrivere personaggi femminili, senza bisogno di urlare. Julie Kohler non cerca empatia né approvazione in un film che dimostra che non servono hashtag per raccontare protagoniste femminili, ma solo un grande regista, un’ottima sceneggiatura e un'attrice in stato di grazia.
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