E fu così che conobbi Françoise Hardy, l’ennesimo regalo di un amico fidato; un nome che avevo già sentito di sfuggita, che rievoca un "mondo perduto", quello del pop easy-listening anni '60, da cui sono fortemente affascinato e una voce elegante e vellutata che mi colpì immediatamente. Dal 1962 al 2012, da reginetta delle Yè-Yè, icona giovanile e sbarazzina di tempi più spensierati a un album di una classe, semplicità e squisitezza veramente rare: "L'Amour Fou", che celebra idealmente le nozze d'oro di Françoise Hardy con la musica. Piano e voce, questa è la formula base, al netto di qualche divagazione e abbellimento: una formula che mi mette sempre un po' sul chi va là, ormai è strausata, abusata, inflazionata, ho ascoltato album piano-based di artisti "giovani" che non suggerirei al mio peggior nemico; ma è anche una formula selettiva, quasi spietata nella sua semplicità, impossibile bluffare, tirare fumo negli occhi, se non c'è ispirazione, se non ci sono sostanza e idee valide si viene sbugiardati senza appello, ma non è questo il caso, anzi, "L'Amour Fou" è vincente in tutto e per tutto.
"L'Amour Fou" è lento, pieno di ballads, eppure scivola via leggero, breve, senza mai stancare, intrattenendo con melodie sospese nel tempo, spesso di una bellezza assolutamente cristallina. "Normandia" mi ricorda moltissimo una kd lang in stato di grazia, non per la voce, non per la musicalità, ma proprio per l'impatto emotivo, le atmosfere tenui e vellutate che si elevano in un vortice lievemente malinconico ma irresistibile, carico di trasporto ed energia, poi abbiamo un paio di gemme vintage, "Mal au coeur" e "Piano-Bar", pop-jazz suadente e raffinato che esalta lo charme, la classe tipica di un'entertainer di lungo corso, la vocalità calda e vellutata di Françoise. E si sogna, si vola con la fantasia, tra i vicoli di Montmartre e verdi compagne costellate di vigneti, inseguendo un ideale di stile, di classe e di bellezza, insito in ogni singolo particolare di queste canzoni.
E poi le ballate, avvolgenti come un guanto di seta, tutte potenti e carismatiche nella loro estrema classe e delicatezza; suggestioni chamber-pop, soprattutto "L'Amour Fou", chanson con reminescenze classicheggianti e "Porquoi vous?" struggente ed intenso minuetto; stati d'animo tormentati, la malinconia nebbiosa ed indugiante di "Le fous de Bassan" e "L'enfer et le paradis", l'amarezza di "Soie et fourrures", la dolcissima fragilità di "Si vous n'avez rien à me dire...". E alla fine Françoise Hardy saluta con "Rendez-vous dans une autre vie", stavolta niente piano ma una chitarra acustica; è un commiato leggero, quasi sussurrato ma vibrante, sorridente; ci si rivedrà in un'altra vita, forse, ma a me basta questa, mi bastano anche solo queste dieci canzoni per celebrare il valore di una splendida cantante, di un album semplice, sincero, bellissimo. E alla fine mi succede sempre: ogniqualvolta mi accosto felicemente alla musica di artisti così lontani da me in termini generazionali vengo quasi sopraffatto dalla sorpresa, mi è successo parecchie volte, con personaggi di vario stile e provenienza, ormai lo so che questo tipo di sonorità "vintage" è intrinsecamente nelle mie corde, eppure la sorpresa rimane, per fortuna, guai se non fosse così.
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