Inutile negarlo: da appassionato del mare e della navigazione non posso rimanere indifferente a una ricorrenza già abbastanza strombazzata: un secolo fa il leggendario Titanic salpava da Southampton per perdersi negli abissi del gelido Atlantico del Nord. Ognuno prenda la cosa come gli pare; personalmente, di andare al cinema a rivedere il kolossal di James Cameron tirato a lucido non ci penso neanche, nemmeno mi sognerei di comprare libri spazzatura sul naufragio o sorbirmi trasmissioni piene di filmati stravisti e facce smunte dal tempo. Mi basta prendere questa foto e osservarla un po'.
E' una delle ultime immagini del transatlantico, scattata molto probabilmente dal reverendo Frank Browne dopo il suo sbarco a Queenstown, oggi Cobh. Non è l'ultima in assoluto, poiché il primato appartiene alla lastra di tale John Morrogh, che coglie la grande nave dalla terraferma alla Red Bay di Crosshaven, Irlanda, poco dopo la partenza da Queenstown, quando lo steamer ferma le macchine per sbarcare il pilota che l'ha guidato fuori dalla baia. Ma sono dettagli di poca importanza. Questo è il Titanic che lascia per sempre l'Europa. La prua invisibile è già puntata verso l'immensità dell'oceano, dai fumaioli esce appena un filo di fumo, le macchine non girano ancora a pieno regime perchè la corsa folle verso il destino non è ancora iniziata. Si intravvede la gente che affolla il ponte, le gentilissime linee del transatlantico scivolano soavi sul mare appena increspato, la sua ardita imponenza e il nero dello scafo si stagliano nettamente sullo sfondo vaporoso di un cielo coperto e immenso. Un addio alla terraferma per entrare direttamente nella leggenda. Ma il Titanic non è solo, nel suo viaggio. Dietro di lui, invisibile eppure colossale, sfila una teoria di spettri. Sono i fantasmi della belle époque, del positivismo rampante e della gioiosa fiducia nelle magnifiche sorti e progressive, quegli spiriti invincibili che hanno accompagnato la magnificenza dell'Occidente per tutta l'età vittoriana e oltre. Spettri cresciuti a dismisura che seguono la grande nave nel suo primo e unico viaggio per svanire con lei nelle gelide acque della storia. Il Titanicguid a un corteo funebre che all'epoca nessuno poteva concepire ma che noi, dopo cento anni, possiamo forse scorgere tra i toni di grigio, dietro il velo del tempo e tra le voci di ricordi che pian piano svaniscono
In qualche modo la morte della nave più grande e potente del suo tempo conclude traumaticamente l'epoca dei lumi: una tragedia simile non era concepibile per un'umanità che si credeva invincibile. La fine di quel sogno tecnologico consegna il Novecento a tutta la sua terribilità: 18 mesi più tardi la resa dei conti sarà ormai alle porte.
E' in questo senso che il naufragio del Titanic acquista tutta la sua ineluttabile drammaticità. Vero, fu anche il teatro di sviste logistiche, errori tecnici e progettuali e ingiustizie sociali, ma in un senso più ampio il suo addio è come l'addio a un'epoca, la chiusura di un sipario, l'ultimo malinconico atto prima dell'ecatombe finale. E come se la nave della foto voglia lanciare un avvertimento, indicare con indomita arroganza la via che l'umanità avrà da percorrere e preparare l'Occidente all'orrenda serie di tragedie che incombono si di lui.
Probabilmente la mia immaginazione vede più di ciò che realmente c'è in questa foto. Ma non riesco a non considerarla come un saluto elegante e indimenticabile, un amaro congedo intriso di dolore, morte, sogni e speranze spezzate. Un beffardo preambolo a ciò che la contemporaneità ha e avrà ancora in serbo per noi. A volte mi pare che la corsa del Titanic, lanciato verso un orizzonte troppo grande perchè l'occhio umano possa abbracciarlo, non sia ancora finita; come se quei giganteschi spettri possano riemergere dall'oceano per beffarci di nuovo. Forse sono solo sogni, paure, suggestioni. Spero.
Carico i commenti... con calma