Il mondo dei fumetti americani era sprofondato da troppo tempo nel supereroistico caleidoscopio colorato. All'america a baloon mancavano il sapore di whisky  e l'odore di sigaretta. Poi venne Miller, e l'America si riappropriò di quel genere che l'aveva resa  famosa e maledetta nel decennio '40/50, il Noir.

Frank Miller è un autore noir, un noir che si va a incastrare tra Humphrey Bogart e Philip Dick.

Droga, macchine ruggenti, sesso, alcool, sigarette e pallottole. E ancora:  politici, sicari, freak, poliziotti corrotti, puttane e preti.  Tutti a Sin City, la città del peccato. Tutti a Sin City, la città del vizio. 

Nell'aprile del 1991 "Sin City" fa la sua comparsa per la prima volta sulle pagine di "Dark Horse Presents". La storia viene serializzate per tredici numeri e poi ristampata in un unico volume con il titolo "Sin City (The Hard Goodbye)". Al volume ne seguiranno, con il trascorrere degli anni, altri sei tutti firmati da Miller e dal suo inconfondibile stile.

Una scommessa quella di presentare un fumetto in bianco e nero, nell'epoca del "più è colorato più vende", che si è dimostrata vincente: il tratto di Miller è distratto, approssimativo, ma allo stesso tempo deciso, e preciso nel dar vita a forme che emergono dalle ombre. Un bianco e nero che più contrastato non si può. Del resto anche i racconti della città del peccato sono così: contrasti netti tra la morte e il desiderio di sopravvivenza. Non si trovano elementi postivi tra le pagine di Miller, i suoi personaggi si possono tranquillamente dividere in carnefici e sopravvissuti, e non importa che il sopravvissuto faccia più vittime del carnefice di turno, alla fine resta e rimane  comunque un nessuno, consapevole del proprio stato di criminale sopravvissuto, ma soprattutto consapevole di essere alla lunga inerme e perso nel delirio della città. Perchè è la città la vera protagonista di tutta l'opera

Basin City (vero nome della città ) rappresenta la fonte di ogni male: corruzione, droga, sesso in vendita,  traffico di minori, ecc,  rappresenta insomma tutti quegli illeciti che è meglio non fare alla luce del sole; ed è forse per questo che Miller  il sole preferisce non farlo sorgere quasi mai, lasciando il lettore in balia di macchie bianche su fondali neri.

 Non c'è morale tra una vignetta e l'altra, non c'è mezzo sentimento buono, non c'è la pretesa di insegnare nulla a nessuno. Solo il desiderio di raccontare. Raccontare l'odore e il gusto del momento della dannazione.

Ed in questo, Sin city, è un capolavoro senza rivali.

 

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