Eh eh, Frank Zappa… Non mi aspettavo un disco normale da Frank Zappa, ma addirittura un disco che non è un disco… Sì, perché questo “We’re only in it for the money” è un’opera che non è riconducibile al termine disco, ma è qualcosa di completamente diverso, che con un album normale ha in comune solo le note (e talvolta manco quelle).

Quest’album esce nel ’68, in piena epopea hippie: Zappa dovrebbe esserne un portabandiera, in quanto freak ante-litteram, e invece… Invece, dà alle stampe un disco che fin dalla copertina, una parodia di quell’arcinota del beatlesiano “Sgt. Pepper”, prende per il culo la psichedelia; è se l’ involucro è semplicemente ironico e irriverente, i solchi del vinile sono caustici, e probabilmente senza precedenti. I testi parlano, con una maturità inaspettata, degli effetti sulla popolazione giovane e non delle proteste dei capelloni, del perché e del percome la società induca i giovani alla droga, di come il consumismo abbia stritolato la famiglia americana (vedi la rappresentazione tragicomica della violenza domestica in “Harry you’re a beast” ), ne abbia distrutto principi e valori, e di come infine anche la protesta stessa portata avanti dai giovani del ’68 sia diventata parte del sistema: in “Flower punk”, come in “Who needs the peace corps”, Zappa tratteggia una gioventù che viene a San Francisco non per i sit-in, ma solo per scopare, drogarsi, entrare in una band psichedelica per avere più droga, per scopare di più e così via.

Ma anche musicalmente, il disco è una bomba, un pugno allo stomaco: non c’è una canzone vera e propria, solo sketch sonori della durata compresa tra un minuto ed i tre minuti; ed il bello è che sono tutti di una qualità compositiva elevatissima, oltre che di una varietà incredibile, a confermare il genio musicale del nostro; di più, le note stesse diventano sfottò, sberleffo, parodia di mille e mille melodie tutte uguali fra loro, di migliaia di suite pseudo sperimentali in voga in quegli anni: basti infatti ascoltare i sei minuti vuoti ed inutili di “The Chrome Plated Megaphone Of Destiny”, piena di rumori insulsi e di risate che nell’ intenzione dei gruppi dell’ epoca volevano risultare inquietanti, che invece Zappa, intermezzandole con colpi di tosse, rende ridicole più del dovuto.

Non è un disco, questo, è un’invettiva dura e pura sia ad una società della quale Zappa non ha mai fatto parte che al movimento che la vorrebbe criticare, e merita un posto d’ onore nella discografia zappiana.

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