Davvero sorprendente l’esordio cinematografico dei fratelli D’Innocenzo, due fratelli gemelli, romani sui 30.

Sembrano essere sbucati dal nulla, non hanno mai fatto niente prima, neanche un corto ma avevano scritto delle storie, delle sceneggiature.

Una di queste storie è diventata un film: “La terra dell’abbastanza”.

È la storia di due ragazzi della periferia romana, due amici, due borgatari cazzari e sgrammaticati.

Il prologo è fenomenale. È notte, loro due stanno mangiando un panino in macchina, dopo il lavoro. Finito di mangiare, Mirko (quello bello e biondo) mette in moto. Accanto c’è Manolo, alto magro, moro, faccia da paraculo.

Chiacchierano, ridono, scherzano, parlano del futuro…

SBAM!

Investono un uomo che muore sul colpo… Scappano.

Hanno ammazzato un malavitoso… cominciano i guai.

Se si tiene in considerazione il fatto che si tratta dell’opera prima di due ragazzi, siamo di fronte ad un piccolo miracolo cinematografico.

Il film, si colloca in quello che negli ultimi anni sembra essere diventato un vero e proprio “filone cinematografico”, ovvero il tema della criminalità romana: “Romanzo criminale” “Non essere cattivo” “Suburra” “Il più grande sogno” “Lo chiamavano Jeeg robot” “Dogman”...

Eppure ha un suo stile, un fascino tutto suo. Colpiscono già i titoli di testa, classici, in bianco e centrali sul fondo nero mentre un sax lugubre tipicamente “noir” (è un gruppo tedesco anni 70 scoperto su youtube dai registi) li accompagna.

Un’altra peculiarità è la tecnica utilizzata per la messa a fuoco: spesso la MDP è addosso ai personaggi mentre tutto intorno è estremamente sfocato, miope. Ciò conferisce un’atmosfera straniante, quasi allucinata, complice anche la splendida fotografia notturna ma calda.

I due ragazzi sono strepitosi. Manolo (Andrea Carpenzano) si è già fatto notare nello splendido “Tutto quello che vuoi” (non l’ho recensito ma vedetelo che ne vale la pena).

Mirko (Matteo Olivetti) è un esordiente, l’hanno scelto al provino. È bellissimo ed è straordinariamente somigliante a Emanuele ’n amico mio de Tormarancio che era il più fico e maledetto di tutti e che quanno è morto nun c’aveva manco l’anni de cristo… sta cosa mi ha in qualche modo turbato durante la visione ma c’entra un cazzo con la rece, però che flash porca troia…

Poi c’è Max Tortora, il papà di Manolo, un perdente senza palle coi fiocchi.

Poi c’è Luca Zingaretti che fa il cattivo e cazzo quant’è bravo, quant’è credibile… senza fare le facce da matto, senza urlare, senza spaccare crani con mazze da baseball. Bravissimo Luca (ma comunque montalbano mi rompe il cazzo e non lo vedo mai).

La mamma di Mirko? Non so chi è ma è meravigliosa pure lei.

Il film è dannatamente realistico, più realistico e “vero” di alcuni dei tanti titoli più illustri di cui sopra.

I dialoghi sono incredibili, sembrano improvvisati ma non è così. Il film è stato scritto e pensato proprio così, pazzesco. Al limite potrei dire che ci sono troppe parolacce ma stà a guardà er capello…

Un pezzo d’Italia poco messo a fuoco, proprio come il film.

Il disagio, l’ignoranza, la mancanza di un solido nucleo familiare, la periferia isolata, in questo caso Ponte di Nona, un mondo a parte, scollegato, emarginato, abbandonato.

Ritrovarsi nella merda e fare cose di una gravità inaudita con disinvoltura come se fosse normale. Credere di avere svoltato ma qualcosa di impalpabile ti ronza nella testa e ti sussurra che no, non è così.

Abbastanza un cazzo.

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