Che bel disco, signori.
Lo diciamo subito, così ci togliamo il pensiero.
E diciamo anche che si tratta di un lavoro per ampio ensemble (18 elementi) di matrice jazz ma assolutamente consigliato anche a chi non ha dimestichezza con le note blue.
E che gli “amici” di Fred Pallem sono tra i migliori musicisti della giovane scena jazz d’oltralpe. E si sente.
E poi che l’album è dedicato ad André Popp, compositore francese, autore di programmi televisivi e di una sinfonia dal titolo “Piccolo Saxo et Cie”, leader di un’orchestra che ebbe gran successo nella Francia del dopoguerra. Leggo in rete che Pallen conia per lui la curiosa definizione di “anello mancante tra Messiaen e il varietà” (!?!) Tre brani di Popp, riletti dalla scoppiettante vena di Fred, sono presenti nel disco.
E, per finire, precisiamo che l’ironico rimando a Stravinski che avete colto nel titolo non è affatto uno scherzo: c’è anche il suo fantasma, tra le pieghe del sorprendente mix offerto da Le Sacre du Tympan.
Ma non temete di imbattervi in un’operazione cervellotica e snob.
È un disco godibilissimo, divertente: una giostra dalla quale, una volta saliti, non vorrete più scendere.

Ad aprire le danze, con “Horny Biker”, ci pensano i fiati in gran spolvero, giocando intorno ad una chitarra western che sembra uscita, ma indossando lo smoking, dal celebre tema di Pulp Fiction. Le tastiere elargiscono un ulteriore spruzzata “vintage”, prima del solo di batteria che precede la ripresa del tema per la fantastica chiusa a trombe spiegate.
Questo assaggio catturerà la vostra attenzione, introducendovi nel mood, venato di bizzarro noir, del disco.
Ma sono i 13 minuti di “Train Fantôme”, un vero concentrato di atmosfere e soluzioni, a racchiuderne l’anima.
Inquietudine, malinconia e suspense. Un film per le orecchie, con una trama che prevede numerosi cambi di scena: dal prologo incerto (un flash back sul misterioso passato del protagonista, sigaretta e barba di tre giorni, occhi stropicciati?) al piovoso notturno parigino con pedinamento, dall’interno solitario con vista su periferia grigia alle concitate riprese in un vecchio luna park. Sino al chiarore incerto dell’alba (tragica?) per giungere all’happy end sul crescendo epico, mentre la camera inquadra il sole, sfera accecante sull’orizzonte tremolante, per i titoli di coda. Questo è il film che ho visto io, ma son certo che ognuno di voi saprà far di meglio.
E poi il pastiche di ritmi latini e ipotetiche sigle di vecchi serial tv di “Motorpsycho Blues”, l’ironica eleganza retrò di “Sérénade Pour L'Entarteur” dove tra un giro e l’altro sulla lucida pista da ballo, vesti fruscianti e profumi d’antan, si apre la parentesi sospesa disegnata dal vibrafono.

Cocktail music e western mood, jazz orchestrale e colonne sonore di film anni ’60, progressive trasfigurato e sprazzi “zappiani”
, sono solo alcuni degli ingredienti della miscela. Spesso presenti nel medesimo brano, così come i cambi di ritmo che garantiscono dinamicità e divertimento, evitando approssimazioni e cadute di tono: l’orchestrazione è perfetta, il disco è sorprendentemente organico, scorrevole, brillante.
Prendiamo due dei tre brani di André Popp, posti verso la conclusione: “Coeur Mécanique” parte delicata e rarefatta, ma ha un cuore progressive e free che appare improvviso, batte convulso e scompare, per lasciarci nel bel mezzo di un ambiente bucolico dal quale il brano si avvia nuovamente. In “Bloody Serenade”, dopo un’apertura che si affida alle movenze di una marcetta che sembrava condurci in tutt’altri lidi, la chitarra elettrica che dialoga con gli ottoni evoca il sorriso beffardo di zio Frank.
La conclusione del viaggio nel tempo e nello stile è affidata all’ibrido, tra soffusa e dolente ambientazione jazz ed epici toni western, di “Splendeur & Mort”.
Ma la tentazione di resuscitare e ripartire da capo è una di quelle alle quali cederete volentieri, non avendo alcuna intenzione di resistere, dopo il primo ascolto.
Perchè la vena dissacrante ma divertita che attraversa la rilettura di una quantità impressionante di riferimenti al passato, è sostenuta da una cura certosina del dettaglio, da una splendida ricchezza di colori cangianti e dalla varietà di ritmi incalzanti dispiegati lungo tutte le 9 tracce.
Il risultato è un disco che non molla mai la presa, regalando una sequenza pressoché perfetta, un meccanismo di piacere sonoro, una sintesi personalissima di sapore ironico e “cinematografico”, nell’insolita ed eclettica versione di grande orchestra jazz offerta da Fred Pallem & Fiends.
Quindi, signori, non mi resta che augurarvi bon voyage.


 

A proposito di André Popp (che firma anche quel gioiellino a titolo “Sexy Sax”, penultimo brano giocato dall’ensemble su toni sornioni e rarefatti) è inutile sottolineare che l’ascolto di quest’album genera una gran curiosità sul personaggio.
Segnalo un disco realizzato nel ’58, che cercherò di procurarmi al più presto e che pare abbia stregato Monsieur Pallen: “Delirium in Hi Fi“. Già il titolo, dal tono programmatico, gioca a suo favore: staremo a sentire.

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