Torno a scrivere dopo qualche mese d'assenza dal sito e mi cimento con questa novità dei libri. Non vogliatemene se gli esiti saranno quelli che saranno.

Scelgo apposta un libretto breve, ma d'effetto, come "Il giudice e il suo boia" di Friedrick Dürrenmatt, scrittore e polemista svizzero (1925-1991), che, anche in Italia, ha goduto di fama forse inferiore ai suoi meriti ed alla sua influenza sullo sviluppo, direi quasi sulla destrutturazione, della scrittura "di genere", e del "giallo" in particolare.

Non possiamo definire Dürrenmatt un giallista in senso proprio, in quanto il Nostro non si dedicò strettamente alla stesura di detective stories, bensì come un Autore che tratta di temi universali, partendo dal giallo come pre-testo, ovvero utilizzando uno schema ben noto ai lettori, ed appetibile anche per i non iniziati, per dire tutt'altro.

L'effetto è duplice: da un lato il giallo diviene strumento per andare "oltre il genere", dall'altra il genere stesso viene messo a nudo e superato nei suoi schematismi e nei suoi esiti stessi, con un risultato godibile per il lettore: che si stuzzica e diverte, almeno fin quando non intende appieno la profondità di certe sortite dell'Autore, più spaventevoli di ogni delitto narrato.

"Il giudice e il suo boia" (1952) può essere letto proprio in questo modo, e, dunque, su un livello almeno duplice, attinente all'intreccio giallo ed alle "implicazioni" delle vicende narrate.

Per quanto attiene all'intreccio vero e proprio, un poliziotto viene trovato ucciso lungo una strada di una valle svizzera, nei pressi della dimora di un uomo ricco e misterioso, dal passato torbido, tal Gastmann. Le indagini vengono svolte da un anziano e malconcio ispettore - Bärlach - con l'aiuto di un ambizioso ed audace poliziotto, Tschanz: il primo, che già in passato era stato sulle tracce di Gastmann e delle origini delle sue ricchezze, invita il secondo ad indagare in quella direzione, fino alla scoperta del colpevole. Ma la verità non è quella che appare, e, soprattutto, solo alla fine sarà chiaro il ruolo del giudice e del boia, e lo scopo ultimo della sentenza emessa.

Senza entrare troppo nei dettagli, e senza voler rovinare la lettura e rilettura del testo,  mi limito ad osservare come già nello sviluppo della storia Dürrenmatt alteri i tratti fondanti del giallo: riduzione dei personaggi, assoluta concentrazione dell'azione in una discesa narrativa che, lungi dal chiarire le dinamiche della vicenda, si attorciglia sempre più su se stessa, sino ad un finale che rovescia il senso della trama e del comportamento di tutti i caratteri, fatti agire dallo scrittore secondo logiche solo apparenti. Si tratta di un'antitesi rispetto al giallo classico, all'indagine positivistica di un Conan Doyle ed epigoni vari: nei classici, l'investigazione era un mezzo per portare ordine nella realtà, da parte di un investigatore-scienziato razionalizzatore; in Dürrenmatt, l'investigazione è quasi la condizione esistenziale dell'individuo, ed individui imperfetti, mossi da passioni, pulsioni ed ossessioni, non possono che effettuare indagini imperfette, con esiti imperfetti.

Per quanto attiene alle segnalate "implicazioni" relative alle vicende narrate, emerge una visione pessimistica dell'Uomo e della Giustizia, visti non come valori - se vogliamo in senso umanistico, classicheggiante... latino - ma come fattori in balia delle pulsioni, o dei disegni pseudo razionali dell'individuo, solo in un mondo di cui non intende realmente il senso, ed in cui dominano il kaos e la sopraffazione.

Il giudice ed il boia non sono, in tale prospettiva, fautori di una giustizia che, per quanto violenta, mira a retribuire il male e ristabilire il bene, o l'ordine delle cose precedentemente violato, ma, nel giudicare ed eseguire la sentenza, diventano essi stessi prosecutori di un Male immanente, fautori di un Disordine senza fine che, a volte, si maschera anche dietro il volto rassicurante delle istituzioni.

Un pessimismo, questo, che molto deve a concezioni protestanti diffuse nel centro e nord Europa, ma che in Dürrenmatt viene enfatizzato da un agnosticismo di fondo: in un mondo senza Dio, e senza possibilità di salvezza, ognuno potrebbe essere giudice e boia dell'altro, dentro e fuori dalle istituzioni, ed il sacrificio del colpevole, per quanto tale, finisce per essere la piccola parte di un olocausto immanente.

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