E notte, ma c’è ancora luce. L’acqua gronda da tutte le parti in cascate infinite che si perdono tra le rocce per poi ritrovarsi a valle e disperdersi nel fiordo. La strada da fare è ormai poca, la vetta è vicina e le membra sono ormai stanche e provate dalle fatiche passate. Sono in cima. Osservo compiaciuto il silenzio seduto su un sasso a forma di stella a quattro punte. Il muschio attorno a me è umido ed emana il suo caratteristico odore di autunno, ma è estate. La neve non si è a ancora sciolta e chiazze bianco candido sono disseminate tra i piccoli arbusti. Un suono, un sibilo. Lonano, tenue. Confuso tra il rombo della cascata. Sorseggio la mia acqua sul bordo del precipizio. Sono sereno, felice, non allegro ma contento. Non so il perchè. Il suono aumenta, il sibilo diventa un fastidio. Le nuvole che prima disegnavano rosee figure attorno a me ora si avvolgono a spirale nel cielo cupo. Vengo travolto. Cado giù. Perdo i sensi nella cascata. Sento violini gridare aspramente e chitarre avvolgermi col loro suono metallico. Il sottile e dolce vibrare delle corde di un piano mi rassicura. Non sono spaventato ma sono spaventato del non esserlo. Sono in turbine di suoni celtici inaspriti da atmosfere rock. Sento i timpani battere, ritmici, scandire il ritmo del mio cuore. Mi ascolto nel frastuono. D’imporvviso una voce d’angelo intona melodie in una lingua a me sconosciuta ma che mi sembra di aver sentito per tutta la vita. Mi accarezza e mi culla.
Svengo nuovamente come trafitto da ghiaccio bollente. Lo scoppiettio della legna si fonde col suono del giradischi che continua a girare nonostante il disco sia finito da un pezzo. Fa caldo. Osservo il pavimento e i muri di legno. Dove sono? Sto bene. Non ho i miei vestiti ma ho solo una coperta di lana addosso. Dovrebbe pungermi ma non lo fa, odio la lana ma in questo momento la amo, mi coccola. Riconosco una voce, proviene dalla stanza accanto. E’ la stessa voce che udivo nella cascata. O sognavo? Non riesco ancora a capire bene. Un ombra si avvicina. Non tocca il pavimeto mentre cammina e la sua veste è bianca e lunga. Il viso è delicato, i capelli biondi raccolti in due grandi trecce. Mi guarda con aria fredda ma allo stesso momento dolce. Canta in maniera meravigliosa, mi sussussra nell’orecchio una melodia, Jygri, mentre mi serve del caffè caldo e dei biscotti alla cannella. Dura solo un minuto... Cado nel sonno. Mi risveglio. Ho le cuffie e sono nel freddo divano della mia casa in Norvegia. Ascolto i Gåte. Ascolto Jygri. Sono le 5 del mattino e ho scordato il repeat inserito. Til deg (to you) è quasi finita e vengo quasi rispedito a calci nella vita reale dalle chitarre distorte e dal claustrofobico inizio di "Springleik". Voglio ricadere nella cascata.
Carico i commenti... con calma