Come il jazz trovò se stesso. Attraverso il Poema Sinfonico.
Il Novecento si era destato presto, al levare del sole, scosso dal fermento degli anni precedenti. Gli strascichi della "lunga depressione" della fine dell''800 erano giunti al termine, lasciando il posto al mirabile sfarzo della "belle époque" europea, ai "cancan" francesi e al "liberty" italiano. La Storia stava mutando, con l'intenzione di far sfociare in un conflitto mondiale i moti insurrezionali degli anni '60: i nazionalismi avrebbero preso il sopravvento, le grandi dottrine politiche ottocentesche sarebbero diventate applicazione pratica, sarebbe nato il mito della "propaganda" sociale. All'indomani delle grandi scoperte tecnologiche il Novecento avrebbe di lì a poco assistito alla diffusione dell'elettricità, alle prime catene di montaggio delle automobili di Henry Ford, alla radio di Guglielmo Marconi. Le distanze si sarebbero colmate attraverso la comunicazione. Si sarebbe presto rispecchiato beatamente nelle pellicole dell'appena nato cinema dei fratelli Lumière, nei muti esistenzialismi di Eisenstein e Dreyer, nelle mimiche dolciamare di Chaplin e Keaton. Avrebbe salutato definitivamente i grandi afflati del Romanticismo per dar atto del sempre più intricato particolarismo nel campo dell'arte e della letteratura: Dadaismo, Espressionismo, Futurismo sarebbero state solo alcune delle tante correnti del nuovo secolo, alcuni dei tanti canali che l'artista moderno avrebbe avuto bisogno di percorrere per non rimanere limitato nei canoni restrittivi di un "movimento" culturale.
E la Musica? L'Arte delle Muse, la più sublime. Anche e soprattutto per essa erano in corso d'opera notevoli stravolgimenti. L'Ottocento aveva lasciato alle spalle le partiture romantiche di Schumann, Chopin e Liszt, le lunghe e controverse digressioni sinfoniche di Richard Strauss e Mahler, le monumentali epopee di Wagner e Verdi. Di lì a poco la spinta romantica si sarebbe affievolita sotto l'egida del nuovo Impressionismo musicale di Debussy e Ravel, del Modernismo Dodecafonico di Schoenberg, delle prime glaciali sperimentazioni elettroniche di Stockhausen ed Henry. Il particolarismo avrebbe dettato legge nel campo musicale come in quello letterario, sgretolando le salde basi culturali del secolo trascorso. Ma era in caldo un nuovo leggendario corso della Storia della Musica, un cambiamento fondamentale che stava per prendere le mosse dalle radici popolari in cui era appena sbocciato, nel terreno reso fertile dalla controparte più dimenticata della storia moderna, nei luoghi remoti delle "blue notes" che alleviavano il lavoro servile degli schiavi neri d'America. Così nacquero le prime forme rudimentali di Blues e Gospel, e con esse la canzone moderna, il componimento breve fondato sull'inciso e sulla ripetizione. Così cambiò il corso della Musica.
Il Novecento stava lì ad aspettare che accadesse qualcosa, che qualche evenienza diffondesse all'intero globo le innovazioni del canto "nero", che la musica evolvesse verso nuove forme di composizione, di ascolto, di fruizione. Così, proprio nei primi anni del secolo, la commistione tra le nuove tendenze europee e il substrato della canzone blues delle comunità africane diede origine ai primi grandi cambiamenti musicali del nuovo corso: sul palcoscenico di un'America rinnovata nello spirito e nella cultura, nacque il jazz. E con esso George Gershwin.
Di origini russe, ma di americana adozione, Gershwin fu il primo grande diffusore del verbo afro-americano, del blues rudimentale che aveva appena conosciuto le improvvisazioni orchestrali di New Orleans, del jazz sincopato che stava diffondendosi come nuovo genere di intrattenimento musicale negli Stati Uniti. Gershwin fu il primo a "vestire" il jazz. Attraverso la musica classica.
È il 1924 quando, a soli 26 anni, George consegna nelle mani di Paul Whiteman la sua opera più illuminante, quella "Rhapsody In Blue" che costringe ad un lungo applauso i convitati della Aeolian Hall di New York, quel poema sinfonico che nella forma non nasconde il dovuto tributo alle "blue notes" afro-americane e che nel contenuto miscela con maestria l'improvvisazione jazzistica al piano e l'impianto sinfonico dell'orchestra. Una performance estatica, perfettamente equilibrata tra melodia e divagazione, pianissimo e fortissimo, stasi ritmica e deambulazione. In essa il jazz vive e brilla di luce propria, si alimenta delle tendenze sinfoniche ottocentesche per inserirsi in esse e dà adito ad un nuovo corso musicale sospeso tra la canzone popolare e l'improvvisazione colta: si scorgono, ascose, le prime gemmazioni della musica moderna.
A quest'ultima Gershwin avrebbe dato una veste definitiva attraverso centinaia di canzoni brevi d'ispirazione jazz-blues: "Oh, Lady, Be Good!", "Summertime" e "I Got Rhythm" sono solo pochi splendidi esempi. Questi componimenti si sarebbero posti come versioni esemplificative dell'arte sinfonica del russo, come piccole perle di una vasta produzione che nel "componimento lungo" avrebbe dato ancora una volta il meglio di sé. È il caso della splendida suite di "An American In Paris", ispirata da un viaggio in Francia compiuto da George nel 1928, un delizioso poema sinfonico, che adattando le "blue notes" ad un contesto più divertito, si pone sullo stesso piano della "Rapsodia" riguardo a spessore e nitidezza musicale. Il filone è quello delle musiche da riempimento dei grandi musical di Fred Astaire degli anni '30: non a caso di lì a poco Gershwin si sarebbe spostato ad Hollywood per lavorare sulle colonne sonore musicali, così come non sarebbe stato occasionale il tributo vent'anni dopo di Minnelli ad "An American In Paris" attraverso l'omonimo film con Gene Kelly e Leslie Caron.
Anche le tradizionali forme di concerto trovano nel loro alveo il jazz più verace, nelle magnifiche esibizioni di Gershwin del celebre "Concerto in F Minor For Piano And Orchestra", ove i tre movimenti "Allegro", "Andante con moto", "Andante agitato" risentono dei migliori echi impressionisti di Debussy e Ravel, attraverso un'interpretazione melodica che fa del suono un'immagine personale, e che proprio attraverso l'improvvisazione jazzistica conferma il suo valore estemporaneo e soggettivo. Nel concerto il jazz dà voce al suo istinto primigenio.
Molti altri ancora i tasselli della sua eccezionale produzione musicale, davvero notevole per soli 38 anni di vita: i Preludi, le Overtures, i Valzer, le Opere. Molte frecce nella faretra di uno dei più grandi geni musicali del '900, uno dei primi grandi artefici del passaggio di testimone dalla musica colta a quella popolare.
In lui si destò il Novecento. Fu una splendida giornata ventosa.
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