DAL VOSTRO INVIATO SPECIALE HAPPY PIPPO. 

"Il grande duello": proiettato ieri sera alla sala Perla dell' ex Casinò del Lido di Venezia, in occasione della 64ma Mostra del Cinema, per la retrospettiva sugli spaghetti western. Introdotto da Marco Giusti che ha presentato il regista, Giancarlo Santi (ex aiuto di Leone su "Il buono il brutto il cattivo" e "C'era una volta il west"); Santi ha raccontato anedoti perlopiù legati al denaro, incassi e percentuali (in fondo siamo alla rassegna di films "alimentari") e si è scagliato, ingenerosamente contro Tarantino, affermando di non aver visto i suoi films ma evitandoli, per la "violenza" contenuta nei Pulp Fiction e Kill Bill. Eppure Santi dovrebbe ringraziare Tarantino se il suo oscuro filmetto è riemerso dal giusto oblio, in virtù dello score musicale, assai bello, di Luis Enriquez Bacalov, presente in sala assieme al protagonista del film, Alberto Dentice.

"Il grande duello" è un titolo tardissimo nella flmografia delle colt nostrane e assai poco significativo. Come traspariva dalla considerazione che Santi ha di questo lavoro ("era la possibilità di uscire con un'opera prima e lo feci, niente più") questo western, se si eccettua la presenza ripetitiva ma sempre efficace di Lee Van Cleef, è un lavoro girato con la mano sinistra, la cui inconcludenza narrativa non è affatto graziata da una fattura dignitosa, anzi. Il fatto che goda di una discreta fotografia, che veda una bella colonna sonora, firmata da Sergio Bardotti al posto di Bacalov per liti con la RCA da parte di quest'ultimo) non fa che aggravare la pochezza sostanziale di questo "Grande duello"; sono certo che un qualunque Demofilo Fidani mi avrebbe emozionato di più.
La vicenda narra di un ex sceriffo, Clayton, (Van Cleef) che raggiunge  una zona di frontiera in diligenza, assieme a un becchino, una maitresse con figlia puttana e una dolce fanciulla (Dominique Darel), poichè è nascosto un ricercato da 3000 dollari, Philip Veermeer (Alberto Dentice-Philip O'Brien, nome d'arte). Veermeer è nascosto in una baracca e attorno, da giorni, una serie di bounty killers aspettano che faccia un passo falso per freddarlo.  Lo sceriffo riesce a catturarlo; ma la storia è più complessa di come appare. Veermeer è ricercato per l'omicidio di Patriarca Saxon, un capitalista e i figli hanno assoldato alcuni loro uomini infiltrati tra i bounty killers, che lo devono recare loro affinchè giustizia sia fatta. In realtà lo sceriffo sa che Veermeer è innocente e che il Patriarca era un crudele capitalista che stava facendo terra bruciata. Solo due persone sanno come stanno le cose: lo sceriffo e il maggiore dei Saxon, interpretato da Horst Frank....
La complessa vicenda viene sviluppata senza un briciolo di partecipazione, come uno svogliato compitino nel quale si sfrutta il carisma naturale di uno stanco Van Cleef (è l'ennesima riproposizione del colonnello Mortimer di "Per qualche dollaro in più", già modificato nei più divertenti "Sabata" parolinianai) e il "phisique du role" di O' Brien-Dentice, credibile come presenza fisica ma modesto come attore. In seguito, saggiamente, sceglierà il giornalismo ed è a tutt'oggi una firma storica de "L'Espresso".
Il gioco padre-figlio dei due protagonisti fa rimpiangere i Petroni di "Da uomo a uomo"; il vilain di turno (l'ottimo Horst Frank) viene liquidato nel secondo tempo, presto  e male. Il patologico fratello sifilitico è appena una macchietta gay senza nerbo.

Il film è velocemente caduto nell'oblìo e sarebbe dovuto restarci se non fosse per la riesumazione della musica dei titoli. Sicuramente, passata l'orgia "Kill-Bill" ci ritornerà e nessuno ne sentirà la mancanza.

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