Per raccontare l'Italia Gianni Amelio, in questo film del 1992, scritto con Sandro Petraglia e Stefano Rulli, parla di un viaggio, seguendo però non l'usuale direzione Sud-Nord, ma il percorso inverso. Il contesto degradato da cui allontanarsi questa volta non si trova a Palermo, o a Napoli, ma a Milano. L'undicenne Rosetta, figlia di emigrati siciliani, è costretta dalla madre a prostituirsi. Dopo l'arresto della madre, il carabiniere calabrese Antonio (Enrico Lo Verso) ha il compito di portare la bambina e suo fratello Luciano, più piccolo e asmatico, in un istituto di rieducazione a Civitavecchia, dal quale i bambini vengono respinti e indirizzati ad un'altra struttura in Sicilia. Inizia il lungo viaggio dei tre ragazzi - perché anche Antonio è poco più che un bambino- ai margini di un'Italia sfigurata, che Amelio priva dei colori patinati e di ogni luogo comune, per raffigurare un panorama abbruttito, deturpato, il lato più desolato dell'Italia svelata in tutto il suo degrado ambientale e sociale, che contrasta con la bellezza dolente del paesaggio, a mano a mano che ci si inoltra verso Sud.

Il film è incentrato sull'evoluzione del rapporto tra i ragazzi e il carabiniere. Antonio, inizialmente infastidito dalla sua difficile missione, si trova incapace di affrontare le asprezze e le ruvidità dei caratteri dei due bambini: Rosetta è al principio dura e ostile, mentre Luciano è chiuso in un inaccessibile silenzio, diviso tra l'indifferenza, il disprezzo verso la sorella e il suo orgoglio ferito perché impotente di impedire l'orrore di casa. Il carabiniere conquista lentamente la fiducia dei ragazzi con piccoli gesti impacciati, a volte bruschi ma disarmanti nella loro sincerità, che manifestano tutto il pudore e il rispetto del personaggio e del regista stesso nell'affrontare la drammaticità della storia dei due bambini, in particolar modo nei confronti di Rosetta. Il film, tramite un linguaggio che predilige il non detto, la sottrazione, i giochi di sguardi, racconta il progressivo abbandono da parte dei protagonisti della loro scorza: significativo a tale proposito è il momento in cui Antonio si toglie la divisa, all'inizio del loro viaggio.

Nel racconto Amelio evita ogni forma di sentimentalismo e retorica, ma dipinge con rara sensibilità e delicatezza l'affacciarsi nei due bambini dei sentimenti di fiducia e affetto nei confronti di Antonio, sentimenti che crescono insieme all'affiorare dell'infanzia che era stata loro negata tanto più ci si allontana dal luogo della loro vergogna. Nella seconda parte del film, dal ritmo più lento, che sembra affaticato dall'accecante luce del meridione, ci sono le due scene che costituiscono l'anima del film: la lunga sequenza del ritorno di Antonio nella sua casa in Calabria, e la sosta al mare in Sicilia. In Calabria, i piccoli momenti di serenità e di innocenza di Rosetta, vengono nuovamente inquinati dalla crudeltà e violenza dell'ignoranza, incarnata dalla signora Papaleo, che umilia la bambina mostrandole la sua foto sulla copertina di un giornale scandalistico, e dal qualunquismo di suo marito, indicativo della mentalità corrotta di una certa borghesia meridionale.

Il Sud ritratto da Amelio è racchiuso in un paesaggio devastato dalla speculazione edilizia, nella casa abusiva non terminata, nel sottofondo desolato dei rumori del traffico su cui si affaccia l'orto della nonna, chiusa nel suo isolamento perché non riconosce più il mondo che la circonda. Emblematicamente, l'unico che la sta a sentire è Luciano, proprio lui stretto in un angoscioso silenzio per gran parte del film, nella tenerissima scena in cui la nonna gli mostra le fotografie di Antonio bambino. La scena successiva vede i tre personaggi vivere, in una gita al mare, quasi la realizzazione di un'impossibile utopia. Antonio sembra capace di tornare, insieme ai suoi compagni di viaggio, alla spensieratezza dell'infanzia ma allo stesso tempo dimostra tutta la sua forza nel proteggere Rosetta dalla curiosità maligna dei benpensanti, e incarnare per Luciano la figura del padre: splendida e commovente è proprio la scena in cui Antonio insegna a nuotare al bambino.La speranza di essere finalmente usciti dalla propria solitudine sarà negata al termine del loro viaggio dal duro scontro con l'insensibilità delle istituzioni e con la crudeltà della burocrazia.

"Il ladro di bambini" è un film che si riallaccia alla tradizione del neorealismo (il titolo è infatti ripreso da "Ladri di Biciclette"), concentrando l'attenzione non tanto sugli avvenimenti narrati né su un'esplicita denuncia sociale e politica, bensì sullo spessore interiore dei personaggi. Ottima la recitazione scarna di Enrico Lo Verso nell'esprimere senza enfasi l'ingenuità e la solitudine di un carabiniere, vittima anch'egli di un mondo violento con i deboli, e soprattutto le prove dei due attori bambini, Giuseppe Ieracitano e la straordinaria Valentina Scalici. Un film che descrive lo squallore ambientale e morale dell'Italia con durezza e disincantato realismo, senza nessun tentativo di edulcorare la realtà e senza alcuna concessione alla retorica, ma allo stesso tempo con la capacità di non compiacersi delle brutture e di mantenere uno sguardo delicato e pudico sull'infanzia. Nonostante l'amarezza del finale non dia spazio alla consolazione, in realtà il regista lascia aperto un filo di speranza nel gesto finale di amore e di dolorosa maturità di cui proprio Rosetta, colei che tra tutti è stata più ferita, risulta capace.

Un capolavoro, che con un linguaggio sobrio ed essenziale sa donare momenti di vera poesia e bellezza nel mostrare la straziante umanità dei vinti.

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