"Ho raccontato alcune storie attorno all'ubicazione del bene in via Carlo Borromeo 10/E a Cortesforza, Milano. Io vivrò in questo posto ancora per poco, ma adesso sono qui, senza un colpo di scena, un addio al check-in dell'aeroporto, senza una scena di sesso, un letto d'ospedale, la sensazione di minaccia incombente, un momento felice durante l'antipasto, senza una donna nuda sulla bilancia, un personaggio leggendario che ha sempre la battuta intelligente, tre righe dall'inizio e subito un dialogo edificante"
(G. Falco, "L'ubicazione del bene", Einaudi 2009, p. 49)
Da bambino abitavo in una periferia di una città del nord costruita attorno alla metà degli anni '70, e successivamente cambiata, mutata, trasformata, senza però perdere le sue caratteristiche originarie, costituite ed al contempo rappresentate dagli edifici che sorgevano, uguali, sui lati di strade tracciate, con ortogonale precisione, da un geometra che poteva essere allora giovane ed oggi, se vivo, potrebbe essere sulla settantina, chiuso in qualche appartamento per fuggire l'ultimo caldo estivo, o in vacanza alle terme nei pressi di qualche lago.
Così tante altre persone: le periferie degli anni '70 erano fatte di palazzi, di persone, di bambini che giocavano fuori fin quando non tornavano dal lavoro i genitori e si tornava dentro, a mangiare e, se possibile, a dormire. I più fortunati, come mio cugino, potevano percorrere poche centinaia di metri da casa e trovarsi in un centro storico ottocentesco, poi altri metri e, superando il fiume, la corona delle montagne, anche quella della Paramount Pictures; chi vive nelle zone pedemontane del nord non vede altro che "paramount pictures", del resto.
Ad un certo punto, almeno dalle mie parti, sono arrivati gli anni '80, e i geometri - e gli architetti: secondo gli Afterhours, quelli che "hanno in mano la città" - hanno seguito altre vie, tracciando altre strade, progettando altri edifici, altri interventi costruttivi, per le persone che volevano andare via dalle vecchie case per giustificare una promozione in carriera e l'aumento di stipendio, per ritrovare "l'aria buona", o semplicemente per mettere su famiglia e staccarsi dalla casa in cui aveva vissuto assieme ai genitori, accendendo un mutuo come dicono certi burocrati o certi che vogliono darsi l'aria indifferente dei burocrati per dirti che si sono indebitati.
E fu quindi l'epoca delle villette a schiera, degli appartamenti a piano rialzato, fino ad arrivare alle ristrutturazioni, alle demolizioni e ricostruzioni, ai recuperi dei centri storici, nel tentativo di rendere più duttili, se non più serene, le vite di ognuno all'interno delle celle geometriche dei disegni degli interior designers, figli di quei geometri giovani negli anni '70, furono gli anni '80 e gli anni '90.
Fu un momento in cui tutti, almeno dalle mie parti, compresi gli operai o i salariati comuni, potevano in qualche modo tentare di avere una casa tutta loro, in un quartiere servito da opere di urbanizzazione primaria o secondaria: da "le mani sulla città" a "le mani sulla casa", variamente protesi alla ricerca di felicità possibili e lavori che permettessero di giustificare e replicare, negli anni, l'idea della felicità che balenava immaginando, su carta, i luoghi in cui si sarebbe vissuti, con geometri, architetti, interior designers, mobilieri, che come dei novelli Disney disegnavano, per chi da bambino si era illuso con "Biancaneve", "Bambi", "Fantasia", che quello che si disegna sia vero e verosimile.
A volte per quelle periferie ci giro ancora, in macchina o a piedi, passeggiando più o meno distrattamente, e mi chiedo se dentro quelle case, che d'inverno hanno le luci accese in cucina già verso le quattro di pomeriggio, la gente è felice, davvero "felice" della propria casa e di sé: e, se fossero infelici, nel loro isolamento, mi chiedo in quale preciso istante può essere nata la loro infelicità, qual è stato il punto di non ritorno della loro vita ed il momento in cui hanno imboccato la strada che li ha portati lì, chiusi in cucina, oppure a fare la biciclettata della domenica pomeriggio, più frequente durante la tarda primavera, quando il campionato di calcio è finito e certi papà non hanno impegni domenicali.
Mi chiedo anch'io se sarei felice in una casa, o in un'altra, in una città o in quella in cui abitavo prima, tornando nella mia vecchia casa o cercandone una nuova in quartiere residenziale a pochi minuti dal centro.
In questa sorprendente raccolta di storie brevi, frammenti di vita tracciati con il realismo del pittore più che con la matita secca del progettista, Giorgio Falco descrive questo mondo e dà voce, linfa, a pensieri come i miei, narrandoci di vite talmente e normali e comuni da essere, se non proprio le nostre, quelle del nostro vicino di casa o di qualche conoscente o persona conosciuta, descrivendo tutto la vita di varie persone tutte accomunate - come ogni individuo, nel nostro mondo stanziale - dall'essere proprietario, o detentore, di un immobile.
E l'ubicazione del bene non è altro, nel gergo catastale, che il luogo in cui si trova l'immobile, il luogo trasformato dalla costruzione, dall'insediamento umano, il luogo destinato a rimanere, per anni, secoli, decenni, millenni, abitato dall'essere umano, sottratto alla dimensione indifferente della natura brada e ferma in sé stessa.
L'ubicazione del bene allude a qualcosa di concreto, e non a quel "bene" astratto ed emotivo che ogni individuo cerca per sé e per gli altri, probabilmente anche quando compra casa o si trasferisce da un luogo all'altro.
Nei racconti di Falco non sembra esserci traccia di questo bene, e la sua ricerca sembra essere vana, nelle vite degli abitanti di Cortesforza, dei loro parenti, conoscenti, colleghi di lavoro, amici più o meno veri ed occasionali, financo nei loro animali domestici. Il bene resta forse qualcosa di irriducibile ad un luogo, alla fissità degli spazi trasformati, definiti dalla fredda e sempre uguale geometria delle mura, delle finestre, dei tetti, delle strade, delle piazzette, delle parabole, delle antenne.
Ho finito questo libro in una stazione, mentre aspettavano una coincidenza: lavori in corso, il nuovo sottopasso per l'alta velocità, le geometrie dei binari e dei progetti, anche lì. Sopra di me, la rotta degli aerei in decollo dal vicino aeroporto.
Ripartendo, ho notato che la ferrovia tocca quasi la pista di decollo, realizzando che, forse, il bene è mobile, volatile, passeggero, destinato ad andare. Non si trova da nessuna parte, come ovunque. La sua ubicazione, è evidente, non esiste.
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