Quindici anni fa, quasi mezza vita mia. Infilato in un monolocale incastrato tra i dedali litici di Via della Madonna, tra i gradoni sdrucciolevoli paradossalmente sempre percorsi in salita e il profumo di prezzemolo da davanzale, sto ascoltando il primo Gaber, quello ironico, divertito e disteso del "Cerutti" o della "Torpedo blu". Il Marpione mi guarda sorpreso e mi ammonisce. "Se aspetti che passi a prenderti stasera, vuol dire che non lo conosci a fondo." Pausa. Meraviglia con riflessione annessa. Mi offre le spalle, verso uno scaffale tarlato che contiene disordinatamente un pò di cultura spicciola, letteraria e musicale. Dalle poesie incomprensibili di Pietro Zorutti ai fumetti ingialliti di Capitan Miki, attraverso una musicassetta BASF del concerto degli Inti-Illimani, primo lustro degli '80, trafugato in buona fede con un registratore Geloso in condizioni simil-funamboliche sui rami scricchiolanti di un ulivo poco distante dal palco tirato su alla meglio. C'era anche qualche Lp fuoriserie di De Andrè e De Gregori. Si piega sulle ginocchia doloranti, malcelando un'imprecazione necessaria ed elencando i dorsi stretti come tanti pioppi dei vecchi 33, scopre una copertina totalmente nera, come se fosse stata preparata in fretta. "Questo è Gaber. Incazzato così non l'ho sentito mai. Provaci e mi dirai se è lo stesso.

Indice e medio saturi accarezzano più volte quelle stesse corde di basso. Cambierà qualche tono in rialzo. Per un quarto d'ora. E' il 1980 e il buon Giorgione s'incazza. In un paio di mesi l'Italia perderà più di 160 innocenti tra Ustica e Bologna e per Gaber è ora di voltare pagina inscenando il Giudizio Universale. Quello suo. Indossa i panni di Dio e premette un processo funesto. I fulmini da scagliare sono già pronti in faretra e non resta altro che vomitare. Il Dio secondo Gaber è insicuro, distratto, impreciso. Pretende di dimostrargli come essere davvero in ogni luogo, di seguire ogni cosa e di scrutare ogni uomo, ogni azione. Ammette di avere dei limiti come uomo ma si riserva di ricordarglieli come Dio. Nessuno è perfetto, neanche Lui. Troppi ragionamenti, troppe interpretazioni che spesso non risolvono i problemi sulla Terra. Lo attacca senza paura, senza avvertire alcun sentore maligno, lo consiglia con ferrea presunzione e glaciale fermezza. Non torna mai indietro, non ha pentimenti anche se si accorge di essere parte integrante di quel sistema che lo indispone. Vuole sentirsi superiore, anche per un pò ma con violenza, accusandolo di perdonare troppo se non tutto. Il suo Dio è integerrimo, privo di aut-aut, mite con i buoni, ammessi che ne esistano e intransigente con il resto, un Dio che accusa sferrando attacchi all'ipocrisia, all'arrivismo, alle mistificazioni e alle anime nere che si fingono candide, crivellando ogni tipo di categoria.

Non risparmia i giornalisti, accusandoli di guadagnarsi "l'onesta" retribuzione cancellando ogni traccia di moralità. Con perfido opportunismo fa notizia ciò che dispensa pietà, anche in condizioni raccapriccianti, dai carabinieri uccisi dai terroristi e le madri sofferenti di fronte alle telecamere, passando per i telegrammi di circostanza che il potente di turno invia in occasione del cordoglio, con frasi sentitamente false. E non c'è spazio per le notizie vere. E i militanti che già in quegli anni potevano anche cambiare bandiera. Pronti a seguire il carro più carico. Onnipresenti nel protestare subendo le cariche della polizia o a scontrarsi con quest'ultimi scendendo allo stesso piano dei delinquenti. All'epoca il terrorismo e l'atmosfera politica mietevano diverse vittime e quando un poliziotto lasciava la pelle sul selciato l'odio del giorno prima si trasformava in pietà. E magari succede ancora. E attacca anche i poliziotti che spesso incarceravano o uccidevano persone innocenti. E non aveva tutti i torti. Anzi.

Non risparmia i brigatisti, anche se c'è poco da risparmiare, accusandoli di diffondere il panico senza neanche avere un'idea precisa. Gente gambizzata o colpita a morte anche senza un motivo o comunque per soddisfare quelle terribili velleità in cui ostinatamente si crogiolavano. Qui il suo Dio diventa blasfemo, dove affermando di essere diventati pazzi, giustificherebbe addirittura le loro idee di base per poi voltare però le spalle di fronte alle degenerazioni ottenute con le azioni criminali. Sembra ambiguo ma non lo è, perchè si adira con quello Stato sempre solerte nello strumentalizzare le sue posizioni. C'è spazio anche per le correnti politiche che Gaber solcava. Attacca i "compagni", dai comunisti che stavano perdendo l'immagine e quella forte tempra che li evidenziava. Affonda sui radicali che cercavano di imitarli con tendenze progressiste, sciorinando referendum inutili per poi passare facilmente nelle fazioni "avverse". Per non parlare dell'untuosità della Democrazia Cristiana, e dei socialisti dove Gaber diviene triste profeta di una delle più abbiette pagine della politica italiana. Ed è con Aldo Moro, morto assassinato da poco, che si incazza sul serio. Con feroce coraggio. Inciso su vinile.

Quel Dio diventa spietato ma rudemente giusto, evitando ogni classificazione, abbattendo le ricorrenti ipocrisie post-mortem che tuttora infangano le memorie di ognuno. Quando uno è in vita è uno stronzo ma quando muore "...era sempre un bravo ragazzo." Il suo Dio non cambia giudizio, anzi, critica da vivo e critica da morto. E se Moro era un politicante qualunque da vivo, per Gaber lo è anche da morto, a dispetto dei suoi collegh di partito che lo giudicavano addirittura come elemento pericoloso per poi violentarsi gli occhi in cerca di lacrime di carta dietro il feretro ancora caldo. E quando a un politicante qualunque, gli spara un brigatista, NON diventa l'unico statista. E neanche un martire. Può bastare adesso. Le corde sono sudate e il diaframma si distende. Un respiro affannoso spegne l'ultimo urlo di rabbia, dissolve l'ultimo ruggito. Un ritiro nella bonaccia di campagna è valido a stemperare i nervi tesi per troppo tempo.

Il "mezzo disco", solcato in effetti da un solo lato, venne ovviamente seppellito dalla censura per ovvie ragioni. La "Carosello" a causa di possibili strascichi legali rifiutò ogni eventualità di pubblicazione, costringendo Gaber a pubblicarlo, molto in sordina, per una etichetta quasi sconosciuta, la F1-Team. Oggi appare in "Anni affollati" e, sinceramente, fa ancora paura.

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