Del fenomeno Allevi si è discusso oltre misura, spesso a sproposito, ma rivelando comunque che in Italia la cultura musicale è sofferente ed è in qualche modo "manipolata" dai media e dagli addetti ai lavori. Non è un mistero, bensì un dato oggettivo, che Allevi sia arrivato ad avere un successo artistico clamoroso senza aver portato nulla di nuovo al percorso culturale della musica in quanto tale. Ha venduto dischi a valanghe, ha tenuto concerti da tutto esaurito e si è creato un seguito foltissimo di sostenitori, disposti a difenderlo da qualsiasi tipo di critica (legittima o meno): tutto ciò grazie alla pubblicazione di brani per solo pianoforte che ricalcano pedissequamente generi e stili già sul mercato da almeno vent'anni.
Quando un artista diventa un caso spostando l'attenzione su qualcosa che esiste da tempo e di cui non è che un semplice imitatore, il sospetto che ci sia dietro una forte operazione di marketing sorge spontaneo. Non si spiegherebbe, altrimenti, perchè un giovane pianista diventi ricco e famoso componendo e suonando ciò che decine di altri hanno composto e suonato prima di lui. Il grande pubblico ignora sicuramente nomi come Michael Jones, Tim Story, David Lanz, Michael Gettel (per citarne alcuni) e sarebbe pronto a dichiarare - in buona fede - che questi hanno copiato Giovanni Allevi! Ma la realtà è un'altra: Allevi è riuscito ad attingere a questo enorme bacino di storia pianistica contemporanea imponendolo di forza ad un pubblico ancora vergine, che ignorava l'esistenza di Jones e Lanz e ha così creduto di aver tenuto a battesimo proprio in Italia il nuovo genio della tastiera.
Il nuovo album "Alien" non sposta di una virgola questa impressione. Anzi, considerata la sua semplicità ed immediatezza, verrebbe quasi da pensare che Allevi abbia compiuto un passo facile laddove già aveva la strada spianata, ovvero proponendo una tracklist di composizioni che ripetono astutamente cose da lui stesso già scritte.
L'aggettivo banale può essere sostituito dal più morbido prevedibile, in quanto non c'è momento di questo disco che non suoni già sentito. Brani come "Secret Love" trent'anni fa suonavano quasi risibili, o quantomeno relegati ad un easy-listening radiofonico, quando li sentivamo proporre dai vari Steven Shlacks o Richard Clayderman. Così come "Close To me" o "Memory", che spaziano dall'impeto romantico di uno Schubert giovanile all'intimismo vago di un Beethoven, ma solo ad un superficiale livello esecutivo e senza averne lo spessore stilistico. E aldilà del fatto che io trovi vacuo comunque cercare in un disco prodotto nel 2010 l'emozione di partiture scritte duecento anni fa (mi ascolto Schubert, allora!), percepisco anche un'assenza di ispirazione che fa affiorare sentori di operazione collaudata e calcolata.
Musica prevedibile, dunque, e a tratti nemmeno eseguita troppo bene; ad esempio la traccia "Tokyo Station" - nervosa e sincopata un po' alla maniera di un Dave Grusin - perde colpi e inciampa in modo evidente.
Prevedibile quanto la copertina (concettualmente anche imbarazzante), che insiste sull'immagine goffa e bizzarra di questo riccioluto artista mescolandola con i tasti del pianoforte (sic!) e dice tutto sulle modalità con cui il marketing ha elaborato le sue strategie. Non è un caso, infatti, che il vasto zoccolo duro di Allevi sia costituito da appassionati di musica cresciuti su un humus molto leggero, infatuati dal personaggio in primis e quindi beati dell'aura colta che l'ascolto del puro pianoforte dona a chiunque. E se non è una grande operazione di marketing questa....
Certo è che, volente o nolente, Allevi e il suo staff hanno avuto il merito di sdoganare un certo tipo di sound e di dare alla dimensione "classica" del pianoforte una certa dignità che sembrava ormai relegata a generi di nicchia. Il prezzo di questo merito, però, è stato elevato in termini assoluti e ha dimostrato ancora una volta che il pubblico italiano è facile da intortare e manca di background.
"Alien" - detto ciò - è sicuramente l'abum meno sincero di Allevi.
E con tutti i meriti e la bontà che questo ragazzo può avere, resta un disco terribilmente vuoto anche nell'ambito della sua discografia.
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