Amo Fëdor Michajlovic Dostoevskij di amor sincero, di amore che di platonico non ha nulla, di amor carnale. Doveva esser difficile sostenere il suo sguardo - un’iride quasi nera e l’altra inesistente ingoiata da un pupilla avida. Avrei abbassato lo sguardo, la vista è tutto. Il mondo risiede lì, nella vista, e non è un caso che Fëdor Michajlovic Dostoevskij fosse fornito di una pupilla così feroce. Il mondo sotto le brame della sua pupilla, il mondo deforme sotto lo spettro di questa pupilla, prima spiegato attraverso la scientificità del socialismo, poi ordinato da Dio. Bene, Dio è Dostoevskij (“L’Idiota”) perché in Dostoevskij risiede la percezione totale dell’uomo o di quello che spesso si ritiene tale, di quello che è e di quello che appare, del suo bene e del suo male. Incontrò la Siberia - dopo che sul patibolo aveva conosciuto la morte e la resurrezione - ed è lì, tra le nevi, che incontro l’uomo, il miserabile, il sotto-proletario senza proletariato, e dell’uomo s’innamorò perdutamente perché nell’uomo incontrò sé stesso, incontrò Dio.
 
E qui c’è tutto. C’è la vita di Fëdor Michajlovic Dostoevskij - modificata e movimentata per allontanarlo da un semplice documentario - che incontra i personaggi dei suoi romanzi, lì comprende, lì sfida dinanzi alle sue parole e alle sue azioni... ci sono i suoi romanzi e i suoi pensieri, lucidi, vivaci come solo quelli di un reazionario con la tempra da rivoluzionario sanno essere.
 
Dostoevskij braccato dai suoi creditori è costretto a scrivere le ultime pagine che lo separano dalla conclusione de “Il Giocatore” facendosi aiutare dalla stenografa Anna Grigorievna Snitkina - che diventerà da lì a poco sua moglie e interpretata da Carolina Crescentini -, ma un suo avido lettore, Gusiev, fuoriuscito dal nucleo di una piccola associazione segreta che mirava all’uccisione della famiglia imperiale - un rivoluzionario che ha trovato Dio sulle orme lasciate dalle parole di Dostoevskij -, lo manda a chiamare... perché uccidere è la cosa più semplice, perché ama Alexandra - anche lei studentessa e rivoluzionaria - che da lì a poco ucciderà il Gran Duca.
 
La narrazione del film e il sistema dei personaggi riprendono gli avvenimenti narrati ne “I Demoni”. Gusiev è il povero Ivan Pavlovic Šatov
, ex servo della gleba, che diviene il motore inconsapevole e la vittima dei demoni. E il film, esattamente, come il libro riprende la chiave portante, il teorema che il Dostoevskij reazionario aveva tanto a cuore dimostrare: i figli sono sempre il risultato della colpa dei padri (Rehberg e Barres avevano già fatto scuola).
E così Alexandra non cambierà, vorrà sempre uccidere il Gran Duca ispirata dalle parole del giovane Dostoevskij che ancora credeva nella scientificità del socialismo. La vicenda nasce per le parole del giovane scrittore e si realizza nelle vicende e nel senso di colpa del vecchio scrittore ed in questo è degna del suo ispiratore.
 
Un giorno, per sette euro e un pranzo rinunciato, col culo su una panchina, tra inutili studenti, incontrai Dio. Incontrai me stesso. “C’è ancora qualche motivo di odio che mi manca. Sono sicuro che esiste” recitava la dedica iniziale. Era “Mea Culpa” di Céline, il più bell’uomo che abbia mai camminato su questo schifo di pianeta.
Il mondo attorno a me crollò. Abbiamo ucciso Dio in nome di uno sviluppo che non esiste e che non esisterà mai, in nome del dolore/piacere di sentirsi liberi, di una libertà dalla morale frivola, stupida. Non credevo in Dio, non credo in Dio, credo in me, credo in Dio. Dio risiede in ogni uomo, nelle sue imperfezioni, nelle sue malvagità, nella flebile possibilità che questo uomo riesca ad amare e comprende un altro essere. Di questo parla Dostoevskij: dell’amore... di Dio, di me. Di te, di noi. Dell’uomo. Non perdiamo tempo in rivoluzioni... amiamoci.

Giuliano Montaldo - I demoni di San Pietroburgo (2007)

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