Può sembrare strano l'accostamento dell'aggettivo horror per un western italiano ma sicuramente questo celebre e discusso film di Giulio Questi merita in pieno di essere considerato come tale. Protagonista un giovane Tomas Milian (lo straniero), vede questi aggirarsi per le strade di una cittadina in preda al delirio di violenza e bramosia di ricchezza.

Tradito da una banda di fuorilegge con a capo Oaks (Piero Lulli) e fucilato da questi assieme a dei campesinos, viene seppellito vivo; la pellicola inizia con la "resurrezione" dello straniero da sottoterra, come in un film della Hammer. Curato da due indiani si mette in viaggio con dei proiettili d'oro nella pistola. Proiettili forgiati per lui dai due pellerossa. La città è abitata da figure deliranti, malati di mente, brava gente che non manca di scatenare la più efferata violenza non appena se ne presenta l'occasione, e sotto il giogo del bandito Zoro. Quest'ultimo (Roberto Camardiel), vestito elegantemente di bianco, ha come milizia una compagine di cowboys tutti vestiti di nero. Tutti omosessuali.

Giunta in paese anche la banda di Oaks, ha immediatamente vita dura; gli abitanti non vedono di buon occhio gli intrusi e basterà poco per farne strazio; chi verrà impiccato seduta stante, chi trapassato dalle pallottole e appeso in fin di vita a testa in giù, grondante di sangue. L'unico a resistere è Oaks, che verrà finito dallo Straniero, con i suoi proiettili d'oro. Nel tentativo di mantenerlo in vita, Zoro lo fa operare sul tavolo del saloon. Il chirurgo improvvisato estrae uno dei proiettili d'oro. Presto tutti gli avventori infileranno le dita nei buchi dei proiettili per raccoglierli tutti, facendo morire Oaks…

Ecco una delle scene più note di questa pellicola dalla vita tormentatissima: all'uscita, durante una prima, la polizia intervenne per il sequestro immediato, dopo che una persona aveva avuto un attacco cardiaco a seguito di un'altra efferata scena.

Fatto uscire di nuovo col titolo "Oro Hondo" e mutilato delle parti più truculente, più avanti avrà una riedizione con il vecchio titolo e con la reintegrazione di una parte delle scene escluse, ricavate da copie di scarto, dato che le originali erano state distrutte. Ed è questa la versione reperibile ancora oggi: se vedrete mai questo film non stupitevi se ogni tanto sui fotogrammi appaiono dei segni rossi o blu o capitano dei salti bruschi tra immagine e immagine. Questo film è irrecuperabile nel suo formato originale.

Quel che resta è più che sufficiente per avere un' idea precisa sui contenuti e il valore di "Se sei vivo spara!"; nel film il regista voleva raccontare le sue esperienze di diciottenne partigiano e illustrare, quasi come per catarsi, tutte le nefandezze a cui fu costretto ad assistere nel corso dei combattimenti. Anche se gli fu imposto dalla produzione di realizzare un western, per sfruttare il filone d'oro (…) di quegli anni, con l'aiuto del grande Kim Arcalli, compagno di mestiere e di lotta, Questi ricrea tutto il clima di folle morbosità di un paese sconvolto dall'anarchia folle del secondo conflitto.

Gli uomini ci mettono un attimo a diventare belve quando si lascia loro campo libero. La scena più rappresentativa del film, quella dello scalpo, ne è la prova più evidente. Furia omicida, brama di possesso, ipocrisia, doppiogiochismo, follia come ultimo rifugio dall'orrore della realtà, rari gesti di coraggio vanificati dai fatti, odio per il diverso. E' proprio la morbosità cruda e spietata ad aver reso memorabile un film che gronda di sangue come di difetti e imperfezioni. Si nota costantemente che Questi non è nè un appassionato nè uno specialista di western; incongruenze, dettagli trascurati, inverosimiglianze… certo a questo film non mancano.

Eppure, nonostante i vari difetti che limitano fortemente una valutazione soddisfacentemente positiva, "Se sei vivo spara!" anche, anzi, soprattutto per questa sua morbosa crudeltà, è uno dei pochi importanti titoli del western nostrano a dover essere ricordato. Ancora oggi, e figuriamoci nel 1967, certe sequenze sono un pugno nello stomaco e non solo per il sangue o gli sbudellamenti (lo Straniero lancia in corsa un cavallo carico di dinamite contro la banda di Zoro, facendoli morire tutti tra le frattaglie dell'animale) ma perchè Questi, consapevole delle maschere in cui si trasformano i volti degli aguzzini al lavoro, avrà visto mille e mille volte i sadici contorcimenti di chi pratica la sopraffazione dell'inerme.

La collaborazione tra Questi e Arcalli si perfezionerà nell'interessante "La morte ha fatto l'uovo" (1968), bizzarra storia di amore e morte in un pollaio all'avanguardia, musicato in diretta dal grande Bruno Maderna. Già in questo spaghetti western orrorifico vengono testate delle soluzioni di linguaggio che si svilupperanno nel film seguente, con il patrocinio ideale della nouvelle vague. "Se sei vivo spara!" non è certo un film per tutti; non solo per le efferatezze, che oggi faranno forse sorridere, quanto per lo stile estremo e morboso, non per tutti i palati. Titolo fondamentale però per chi vuole conoscere meglio il cinema italiano del passato più prossimo.

Ottime le sequenze iniziali dove Milian e compari vengono fatti fuori: il set era una collina che era stata appena spianata e il brullo, ingato paesaggio, arrostito da un sole inclemente, permette a lui e ad Arcalli di ottenere distorsioni di immagine, inquetanti controluce, ribaltamenti che stabililiscono le coordinate folli della pellicola.

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