Provateci voi, a nascere figlio di contadini, nell'Emilia contadina, nel contadino 1800.

E poi provate, a scrivere "Traviata", se siete capaci.

 

"La Fantasia al podere".

Eccolo, Verdi.

 

E la sua consueta, campestre e magnifica arte di non lasciarti mai capire da che parte sta il bene e da quale il male. Chi è "il cattivo"? Ma davvero pensi che sia Rigoletto? E perché allora canta "Solo per me l'infamia a te chiedeva, o Dio... Ch'ella potesse ascendere quanto caduto er'io". Chi ha ragione, lui o tutti gli altri cortigiani?

E se Jago fosse solo un "Rigoletto 2.0"? Qualcuno che, per esser cattivo, non ha bisogno neanche di esser gobbo. Ce ne sono, di motivi, per esser cattivi, a cercarli... 

 

E in questa storia che si svolge a Parigi intorno alla metà del 1800, da che parte staresti?

  1. Con Violetta Valery, una mantenuta che "folleggia di gioia in gioia" e passa di protettore in protettore;
  2. Con Alfredo Germont, un figlio di papà che s'identifica alla perfezione nell'espressione tedesca "stupido come un tenore";
  3. Con papà Germont, un reazionario borghese che si muove per gli spazi dell'opera lasciandoci frasi che oggi suonerebbero come "Tàgliati quei capelli chè sembri figlio di nessuno", "apri chè qui è una fumeria",  "guarda che io i soldi non li trovo mica dietro a un mattone...".
  4. Non sa/Non risponde

 

E lì prova a districarti in un ginepraio di ragioni. Quelle di tutti. Le nostre.

 

Sei sicuro di volerti addentrare in una rogna simile? Non è meglio un bel film americano, per stasera?... Uno di quelli senza troppe menate. In cui, nella prima scena, ti si dica subito chi è il regista e chi il cattivo. Dici di no?... Allora ti devi dimenticare parecchie cose, prima di iniziare.

 

Violetta Valery è una puttana che muore di Tubercolosi, lo sai. E prima di passare allo stato "orizzontale" dell'esistenza, ci sono altissime possibilità che fosse una gran gnocca. E allora basta con le cantanti della stazza d'un divano da sala d'attesa odontoiatrica! Toglitele dalla testa. Cancellale, benedetto ragazzo! La signorina Valery è un'altra cosa. Al loro posto, facci il favore, mettici... Chi ti piace, a te? Shakira, dici? Bene! Mettici Shakira. Sidney Rome? - Ma davvero ti piace Sidney Rome? - Va bene! Guarda... Mettici pure Sidney Rome. Ma Violetta non è quella che vogliono farci passare le "meggior" discografiche! Violetta, se la immagini, deve fartelo venire duro. Sennò c'è qualcosa che non va.

O In Violetta o in te.

 

Oh... Prima che venga tacciato di maschilismo... 

Le donne, pensando al coprotagonista Germont Alfredo, hanno facoltà di immaginare qualcosa di alternativo a Sidney Rome o Shakira.

Ma non di farselo venire duro.

Sarebbe francamente scorretto.

 

Poi devi dimenticare tutte le volte che hai sentito il maledetto "Brindisi" di Traviata.

Siccome è davvero importante che lo dimentichi, te lo metto anche nel sample. Così prima lo ascolti e te lo ricordi, e poi siamo sicuri che hai capito che è proprio quello, che devi dimenticare.

Sennò magari ti sbagli e mi dimentichi, chessò, la Danza dei Sette Veli dalla Salome di Strauss. E a noi, Strauss, non c'ha fatto niente di male, se si eccettuano certi riadattamenti di Franco Battiato. E allora, facci il piacere, dài...  Togliti dalla testa quella suoneria, quell'attesa telefonica all'Inps, quel compleanno da zia Adalgisa, il taglio della torta al matrimonio di Ettore, quel maledetto evento mediatico che ogni 1° gennaio provoca in noi il primo "sconcerto di capodanno". Ecco.

Quando hai fatto ce lo dici.

 

Fatto? Bene. Allora adesso dimentica tutte le volte in cui hai detto che la musica classica è "rilassante". Perché tanto l'hai detta anche tu, 'sta cazzata, dài... Non dire di no. A me mi sa che sei uno di quelli. Confessa che sei finito su questa pagina per caso. Oppure ammetti che sei qui perché questa pagina - per via del succitato "puttana" - è comunque il 4.988° risultato di un certo tuo peregrinare pomeridiano su Google.

Sarebbe una bella ammissione, da parte tua.

Ma non lo farai.

 

Non ha importanza. Quello che è importante è che sposti tutto questo da una parte, se vuoi capirci qualcosa. Tutta la polvere che le è caduta addosso e che nessuno si prende la briga di togliere, una buona volta.

Allora, possiamo parlare di Traviata.

E fa niente se ci tocca farlo con un piumino in mano.

 

La trama, dici? E' presto detto.

 

Alfredo si innamora di una signorina (Violetta) che, a voler esser precisi, sputtaneggia in lungo e in largo, cercando chi la mantenga (ecco il reale significato di "sempre libera degg'io folleggiar di gioia in gioia"). Lei sulle prime, appresa la cosa, lo prende anche per il culo, poi torna sui suoi passi. Quando il sipario si apre sulla scena successiva, si capisce che il corteggiamento di Alfredo ha vinto e che i due si sono ritirati per qualche tempo in una tenuta di campagna (la famosa "chiusa"). Quando tutto sembra andare per il meglio, sopraggiunge il padre di lui, che la invita a lasciare suo figlio, perché altrimenti l'altra sua figlia, a causa dello scandalo, sarà abbandonata dallo stimato giovanotto con cui si accompagna. Lei (Violetta) a malincuore glielo promette e, "senza addurre motivazioni plausibili" (beccatevi 'sta citazione colta), lo pianta con una lettera (che è come oggi con un sms). Lui non la prende assai sportivamente (probabilmente perché non capisce l'universo femminile e la sua spiccata sensibilità si contrappone al suo gretto materialismo maschilista); ma ecco che proprio allora sopraggiunge il padre - un Cossiga un po' più reazionario - e in un modo o nell'altro gliel'ammischia. Finisce così il primo atto, in modo che l'ascoltatore si possa sgranchire le gambe e alzarsi a prendere un bicchiere di Cedrata.

Il secondo si apre con una grande festa a casa di un'altra nota mignotta dell'Ile-de-France: Flora. Gli invitati danzano, spettegolano, criticano il servizio catering, sputano il nocciolo delle olive nei sottovasi. L'atmosfera è festosa, nonostante certi rapidissimi movimenti cromatici dei contrabbassi paiano minacciare il peggio. Violetta si palesa col suo nuovo compagno e "patrocinatore", il barone Douphol, che - a giudicare dalle battute che gli riserva il librettista - doveva esser simpatico come un tampone uretrale. Alfredo è roso dalla gelosia. Non capisce come la donna che ama abbia potuto dimenticarlo e si sia potuta unire a questo bellimbusto, peraltro dedito al gioco d'azzardo. Con fare smargiasso, il nostro eroe lo sfida a carte, non sapendo che il barone è nazionale di briscola sfigurata (un gioco assai in voga nell'800, che si praticava con un mazzo di carte napoletane e un machete). A dispetto di tutto questo, Alfredo ha una salva di botte di culo che neppure l'Inter delle ultime 3 stagioni (ma senza i suoi aiuti arbitrali), ridicolizzando così il barone di fronte all'intero uditorio, che canta "Bravo davver! La sorte è tutta per Alfredo!".

Il cromatismo della sezione archi dell'intera orchestra diviene sempre più evidente, lasciandoci intendere che sta per accadere qualcosa di raccapricciante. Quando tutti sono ormai rassegnati a una replica di una puntata di "Blu Notte" di Lucarelli, compare invece un cameriere che annuncia che la cena è pronta. Fuggi-fuggi generale. Mentre tutti si gettano sul tavolo degli antipasti, Violetta e Alfredo rimangono soli. Lui, a tirarla corta, le chiede: "Dunque l'ami?". E lei, ovviamente mentendo per tener fede alla promessa fatta al padre di lui: "Ebben, l'amo!". Alla quale affermazione, il nostro protagonista dà vita al suo coup de theatre: nonostante la cena a buffet sia appena iniziata, convoca tutti i gli invitati nel salone ("Or tutti a me!"), e in preda a un'ira pappalardiana, smerda davanti a tutti la donna che ama gettandole dei soldi. I convenuti sono inorriditi, e cantano all'indirizzo di Alfredo un coro pieno di riprovazione che, poiché tutti cantano a bocca piena, questi scambia per un coro di approvazione. Comprendendo quasi subito la natura del suo equivoco, Alfredo è preda del rimorso ("Ah, ciel, che feci... Ne sento orrore!"), soprattutto quando lei, nonostante la pubblica umiliazione, se ne esce con una melodia che piegherebbe le ginocchia di chiunque ("Alfredo, Alfredo... Di questo core non puoi comprendere tutto l'amore"). La scena si chiude con l'unanimità dei convenuti, padre compreso, che inveisce contro Alfredo.

L'ultimo atto è una discesa verso la morte. Violetta, ormai consunta dalla malattia, è nella casa che fu teatro della festa del primo atto. Ad aspettare che Alfredo, reso edotto del suo sacrificio, faccia ritorno da lei, o che almeno la inserisca fra i suoi contatti di Facebook.

Quando giunge, accompagnato dal padre, è ormai troppo tardi. E hanno solo il tempo di intonare "Parigi, o cara, noi lasceremo...", senza troppa convinzione da parte di entrambi, prima che il dottore dica "E' spenta!" e padre e figlio si lascino andare a un borghesissimo "O mio dolor!".

 

Alla prima, nel 1853, la Traviata fece un tonfo mai visto. E non poteva essere altrimenti.

"A Venezia faccio "La Dame aux Camelias" che avrà per titolo, forse, Traviata. Un soggetto dell'epoca. Un altro forse non l'avrebbe fatto per i costumi, pei tempi, e per mille altri goffi scrupoli. Io lo faccio con tutto il piacere.": così scriveva Peppino all'amico Cesare de Sanctis nel gennaio di quello stesso anno.

Verdi avrebbe voluto che l'opera andasse in scena in abiti moderni, per rendere ancor più stridente l'involontaria simbiosi tra le persone che recitavano sul palco e quanti sedevano in platea, e che parlavano con le stesse parole dei protagonisti. Sbattergli in faccia quello che erano, insomma. Tenendoli bene legati alla sedia e con gli occhi spalancati a forza. Un Kubrick di 150 anni fa.

 

Un coro che sembrava dire "Libiam ne' lieti calici che la bellezza infiora".

E che invece, a ciascuno di loro, diceva "per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti".

 

Un gobbo, una zingara, una puttana, un negro, un ubriacone.

A leggerla oggi, la lista delle opere di Peppino, ci manca solo un rumeno.  

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