Con 28 gruppi e cinque palchi qualcuno mi dica che possibilità hanno i “Get Cape, Wear Cape. Fly” di avere il piacere di incontrarmi. E qualcuno mi dica il senso di tutto questo, un paio di dementi gangsta-rap prima dei Flaming Lips, ho pagato 35 sterline per farmi dire “Siete bellissime ragazze, vi amo tutte”, o di un palco chiamato “Acoustic stage” se 20 metri affianco ci metti Dj Shadow a manetta: credevo di aver odiato tutto nella vita e invece oggi mi trovo a ballare “She broke me so softly” in 4/4, Nick Drake remixato da Carl Cox. “Yeah baby yeah” chiudono i Pharrell e un esercito di topone nere abbandona le transenne.
Bel concerto quello dei Mojave 3 ma si scorda presto, giusto in tempo per Gnarls Barkley: c’è una canzone che da qualche settimana mi fracassa i coglioni e stasera ho scoperto di chi era – un ciccione tamarrissimo che alla fine scopro insostenibile alla pari della canzone: qualcuno mi dica il senso di questa musica perchè mi sforzo ma non ci arrivo (e magari mi sbaglio).
Molto meglio per i Massive Attack, solito concerto d’urto, scenografia di luci cupe e ospiti di gran classe. A parte qualche rara progressione elettro-rock pare il solito scontato best of, ripreso fedelmente dal lavoro di studio e forse è questo a renderlo piacevole. Un paio di intermezzi interessanti, il migliore indirizzato al Partito xenofobo (“Non mi interessa dire niente di intelligente tranne di mandare a fanculo il BNP”) infine i ringraziamenti in italiano.
Due parole sugli altri: Damien Marley è sceso un po' di tempo fa a Brixton a rivoluzionare il genere e non rimanendo più idee l’ha chiamato Jamaica Rock. Adesso saltelliamo tutti insieme e diciamo sempre le stesse cose - verrà la rivoluzione, ma nel frattempo se siamo quì a cantare non sta andando tanto male. Quando è arrivato Dj Shadow è diventato tutto un campo di battaglia: con settecento persone e centoventi spacciatori facevi una confusione enorme. Gli eroi i The Flaming Lips, protagonisti di una delle prestazioni più deliziose, divertenti e artistiche alle quali colui che scrive abbia mai preso visione. Babbi natale, astronauti giganti, alieni, supereroi, in un bagno di coriandoli e gag, con un Wayne Coyne semplicemente straordinario: “Ho sempre desiderato una passeggiata per Hide Park!” dirà in apertura, così gonfia un pallone e gira per il parco sulle nostre teste. Cinque canzoni in quasi un’ora di delirio visivo (“Do you realize?”, “Yoshimi battles the Pink Robots” e “The Yeah yeah yeah song” tra le altre, con quest’ultima esilarante balletto vocale col pubblico).
Al termine guardo queste migliaia di topone nere, di bianche tamarre, gialle truzze, un arcobaleno di gente veramente insostenibile, erano state per tutta la giornata a muovere il culo e ora che mi sentivo leggero se ne stavano lì come se fossi una specie di lebbroso. “Prima di lasciarvi c’è Batman che vuole dire una cosa a Cat Woman”. Arrivano Batman e Cat Woman dai lati del palco: Batman chiede a questa di sposarlo e questa piange e dice si (ci mancherebbe). Io sono felice per loro e una volta tanto per me stesso, anche perchè tutto questo mi fa sentire dannatamente poetico: mi guardo in giro per cercare un arcobaleno e quando lo trovo mi s’erano incastrati sotto i coglioni.
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