Se qualcuno dovesse chiedermi per caso quale album ritengo più affascinante tra i tanti realizzati dai gruppi death metal svedesi negli anni novanta risponderei sicuramente “The Ending Quest”. L’unico parto discografico dei Gorement possiede infatti quel qualcosa in più che lo eleva al di sopra di molti altri dischi, alcuni dei quali storicamente molto più importanti ed influenti, si pensi ad esempio al solito “Left Hand Path”, in virtù del fatto che sprigiona un’aura mistica che lo rende veramente unico.
Nati sul finire degli anni ottanta e sull’onda del fermento e della smania di suonare ciò che all’epoca era considerata la musica più estrema mai concepita, e dediti quindi inizialmente al culto delle chitarre zanzarose con cui i vari pionieri Entombed, Dismember e Carnage avevano battezzato la terra di Svezia, rimasero letteralmente folgorati sulla via di Damasco dall’uscita di quel “Gothic” dei Paradise Lost che fece breccia nel cuore di tanti metallari duri e cattivi (come ad esempio gli Amorphis, che sempre siano benedetti!), grazie a sinuose melodie capaci di scatenare forti sentimenti di tristezza e malinconia.
Ed è così che nel 1994 arrivano alla creazione di “The Ending Quest”, dove le grezze rasoiate di chitarra vengono contagiate da profonde e riflessive melodie, a volte alternandosi tra di loro, altre invece mescolandosi intimamente, e così si raggiunge una delle vette del death metal scandinavo e non solo. Un disco molto evocativo, perfetto da ascoltare in questa stagione, già a partire dagli ultimi giorni di settembre quando le ombre iniziano ad allungarsi inesorabili sui fianchi delle montagne e il sole si abbassa pian piano all’orizzonte, e poi ancora quando le foglie appassiscono e cadono a terra e i larici colorano con chiazze gialle i freddi boschi che guardano a nord, finché alla fine giunge l’inverno e il mondo si addormenta sotto una coltre di fredda e candida neve. Un album profondo, dove regnano decadenza e malinconia, un album fatto per chi vive all’ombra delle montagne e apprezza ogni singolo raggio di sole che possa scacciare il freddo. Basta ascoltare la strumentale “Silent Hymn (For the Dead)”, vero picco del disco, a occhi chiusi per rendersene conto.
In sintesi si tratta di un’espressione musicale semplicemente perfetta.
Elenco e tracce
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