«Ecce homo».

Ecco l'uomo, ecco infine Grant, ancora una volta solo, nudo, pronto a ricominciare da capo, pronto ad affrontare i suoi demoni interni, le sue paure.

È il 13 ottobre del 1994, siamo a Seattle, stato americano di Washington, presso il piccolo club Crocodile Cafè; è un concerto già da tempo concordato per il tour promozionale al nuovo disco con i Nova Mob, il suo gruppo fondato alla fine degli anni ottanta dopo la drammatica conclusione del rapporto, prima di amicizia e poi musicale, con Bob Mould e Greg Norton (scrivo Husker Du per quei pochissimi, mi auguro, che non conoscono questa storia in Musica enorme).
Ma i Nova Nob in pratica non esistono più, anche se ufficialmente la parola fine alla loro carriera verrà messa soltanto nel 1997; proprio per esigenze, ritengo, di contratto Grant è “costretto” a presenziare da solo, a salire sul palco e si inventa un set acustico, voce e chitarra con l'amplificazione ridotta al minimo.

Ed infatti la qualità della registrazione non è delle migliori, molto spartana e volutamente grezza, come del resto lo sono le quattordici canzoni che andranno a comporre il disco uscito nel gennaio del 1996: non si arriva nemmeno ai quaranta minuti di durata.

Ma non serve dilungarsi a Grant per catturare l'attenzione dello sparuto pubblico presente, asciugando il suono di tutti i brani che via via si susseguono senza pausa alcuna, con un'intensità imponente a livello emotivo. La voce, quella sua voce disperata, graffiante che arriva dal suo animo più profondo e penetra nell'animo di chi ha il sommo piacere, come me, di avere questo album e di amarlo per quello che rappresenta per l'autore: Grant ti butta addosso tutto quello che sente, tutto quello che prova in un altro passaggio enormemente difficoltoso, terribile della sua esistenza.

È un concerto così omogeneo nella sua ricerca emotiva a tratti asfissiante, che non mi par giusto citare le singole canzoni; brani che sono tratti dal suo primo lavoro solista «Intolerance», dal repertorio dei Nova Mob e soprattutto, non poteva rinunciare a ciò nel modo più assoluto, da episodi scritti di sua mano negli Husker Du.

Ma un brano lo voglio comunque segnalare: siamo quasi alla conclusione del concerto a partono le epiche, semplici note di quel gioiello prezioso di immenso valore che porta il nome di «Never talking to you again» tratto da quel monolite sonoro che è stato, ed è ancora, «Zen arcade». Un minuto e mezzo è la durata. «There are things that I'd like to say, but I never talking to you again … I never talking to you». E ad ogni nuovo ascolto gioisco e piango, piango e gioisco, come sta accadendo proprio ora perché il brano si conclude sul mio fedele impianto stereo.

È «The main» a chiudere una serata breve ma intensa come pochissime altre volte ho udito in vita mia; chiudo gli occhi e lo vedo posare la sua chitarra, salutare i pochi presenti ed uscire dalla scena, scendere dal palco finalmente a testa alta.

Grazie davvero Grant!!! Hai vinto la tua battaglia e sei pronto a ripartire come hai del resto sempre fatto; l'inizio di una nuova carriera musicale con l'uscita di altri lavori, usando questa volta soltanto il tuo nome. Solo ma in pace con te stesso. Raramente mi è capitato di provare così tanta invidia nei confronti del pubblico che ha potuto godere di questa importante serata, che si conclude con una sorta di rinascita; sarei stato disposto a qualsiasi folle cifra in denari per essere li con l'amico fraterno, compagno da trent'anni di meraviglie in Musica.

Ho concluso, posso posare carta e penna; perché come sempre ho dovuto prima usare questa “tecnica” a me così cara.

Poi con calma trasferirò il tutto sul freddo computer. Ora devo per un momento uscire di casa in questo freddo pomeriggio di novembre; ed osserverò le bianche e fiere cime che circondano la mia Ossola, già imbiancate da una spessa coltre di neve. La neve, il bianco, la purezza, il silenzio … Questo è per me «Ecce homo» …

Ho iniziato il mio scritto con due parole latine; mai come questa volta è giusto concludere con l'abituale saluto.

Ad maiora.



E comunque, giusto per tirarla alle lunghe … Chi di voi non ricorda cosa stesse facendo in quel fatidico pomeriggio del 6 luglio 1980? E quasi due anni dopo, il 5 luglio 1982, dove eravate e con chi? E vogliamo mettere il 1° luglio 1979?

Solo per dire che ci sono istanti dell'infanzia e dell'adolescenza che rimangono impressi nella memoria, come la scena preferita del film preferito, vista e rivista centinaia di volte, fino a quando impari pure le battute a memoria. E nemmeno so il perché.

Un po' come quando si acquistano i celeberrimi “dischi della vita”.

Io non faccio testo, ma mi ricordo per filo e per segno quel giorno dell'inverno 1985 in cui comprai «The Clash» dilapidando la paghetta mensile, e pure che indossavo un cappottino blu scurissimo, tendente al nero, che mi faceva assomigliare in modo impressionante a Deniz Tek sulla copertina di un bootleg dei Radio Birdman, per cui lo vestivo 365 giorni all'anno e mi sentivo un grandissimo figo; anche se avrei preferito assomigliare a Johnny Ramone, ma al posto dei capelli ho delle setole di cinghiale, per cui il caschetto alla Ramone non sono mai riuscito a farmelo, né io né il barbiere.

Non ricordo come fossi vestito quando comprai «Candy apple grey» ma ricordo come andò la storia. Estate 1986 (di sicuro avrò indossato una t-shirt, un paio di bermuda, e scarpe di pezza), bighellono con la famiglia per le vie di Roma; i miei si fermano in un bugigattolo di libreria, che vende anche dischi; loro cercano non so cosa, io mi metto a scartabellare i vinili; l'occhio mi cade sulla copertina di «Candy apple grey», tutta colorata da sembrare un'opera d'arte astratta; me lo compro, deciso così, mi piace la copertina; faccio gli occhi dolci a mammà e papà, che sganciano una bella diecimila lire ed il disco è mio.

Degli Husker Du sapevo niente, a parte aver letto qualche settimana prima una mini-recensione di un loro singoletto che, più o meno, diceva: questo non ve lo comprate, risparmiate i soldini e compratevi «Candy apple grey» e vivete felici. Letto, fatto.

Torniamo a casa, pranziamo e, spattumato tutto, metto sul piatto il vinile.

Si parte con «Crystal»: casino, rumore che definire musica ce ne vuole, un orco che urla come un invasato: «Million tiny pieces ... CRYSTALLLLL!» e, per la prima volta nel corso delle nostre diatribe musicali, mio fratello se ne esce con la storica affermazione: «Ascolti proprio musica a cazzo di cane».

Seguono tre canzoni molto belle ed una da depressione profonda; così finisce il lato uno.

L'ascolto del lato due lo rimando al giorno dopo ma, prima di andarmene a fare un bagno al lago, mi guardo un po' la busta interna, incuriosito dal fatto che ci siano due cantanti: per me è una novità. Nei Clash canta Joe Strummer, nei Pistols Johnny Rotten, negli Stiff Little Fingers Jake Burns, come si spiega che qui sono in due? Indago come si chiamino: Bob Mould e Grant Hart, che suonano pure un fottio di strumenti e compongono le canzoni; poi c'è un terzo, che suona solo il basso e nemmeno canta, di sicuro lo sfigato del terzetto.

Quel giorno fatale ho ascoltato 5 canzoni, riassumendo: due pallosissime, tre belle; di quelle belle, due sono farina del sacco di Grant Hart, una di Bob Mould; quelle pallosissime sono tutte e due di Bob Mould. Ne traggo le conclusioni: Grant è un tipo in gamba, Bob mi sa che non ci capisce granché, Greg (il bassista sfigato) non si sa bene che ci sta a fare nel gruppo.

Così ho fatto conoscenza con gli Husker Du e con Grant Hart. Ma a quell'epoca non avrei mai immaginato che «Candy apple grey» sarebbe diventato uno dei “dischi della vita”, né tanto meno che da lì a poco l'ascolto di «These important years» la vita me l'avrebbe cambiata in modo definitivo.

Poco tempo dopo mi imbatto in una foto ufficiale del gruppo, ed imparo a riconoscere Grant, Bob e Greg: sorridono divertiti tutti e tre; Bob e Greg fissano l'obiettivo, Grant no, ha gli occhi chiusi e la fronte poggiata al petto di Greg. È una foto bellissima, al pari di quella, ancora più celebre, nella quale i tre, ripresi dall'alto, guardano il fotografo spalancando le braccia come per voler abbracciare l'universo mondo. Quelle foto, nella mia immaginazione, hanno sempre significato quanto è bello suonare rock'n'roll in gruppo di amici.

Poi però l'immaginazione deve far fronte alla dura realtà ed il sorriso di Grant non è valso ad immunizzarlo da sofferenza e solitudine, acuite da un'identità sessuale fragile e precaria e dal più vetusto dei cliché di genere.

Sesso, droga e rock'n'roll: tutto tristemente già visto.

Ed anche il finale è noto. Perché suonare rock'n'roll in un gruppo è uno sballo fin quando il vento soffia in poppa; ma quando la barca affonda, si salvi chi può e donne e bambini restino pure indietro. Johnny ha soffiato la ragazza a Joey e quando quel tossico di Dee Dee ha deciso di togliere il disturbo nessuno lo ha trattenuto; a Topper è andata pure peggio che a Dee Dee e lo hanno sbattuto fuori a calci e poi è stato sbattuto fuori pure Mick, che nemmeno si è mai fatto.

È finita nel peggiore dei modi la storia di Grant, Bob e Greg. Volano gli stracci a mezzo stampa, tra Bob e Grant: «La tossicodipendenza lo ha reso inaffidabile, non è possibile continuare così»; «Non voglio restare in un gruppo dove sarei solo un ingranaggio nel meccanismo di Bob». I due si ignorano con acredine, ed alcuni insinuano che l'acredine sia rancore per una relazione sentimentale naufragata in malo modo.

Tutto finisce nel 1987.

Grant, per alcuni anni, è quello che se la passa peggio: sofferenza e solitudine è tutto quello che gli rimane, dopo aver dominato il mondo, e deve essere durissima tenere duro, nella sua situazione, e forse più di una volta gli sarà capitato di invidiare il profilo defilato di Greg. Bob Dylan canta che se non hai nulla, non hai nulla da perdere; Grant nel 1987 ha tanto e perde tutto.

Qualcuno di questo disco ha capito l'essenziale, e me lo ha fatto capire pure a me semplicemente citando «Never talking to you again» e descrivendo lo stato d'animo di Grant, quella sera d'autunno quando sale sul palco di un piccolo locale di Seattle, armato di sola chitarra e senza nessuno ad accompagnarlo.

Il disco non lo conoscevo, fino ad un paio di settimane fa, quando quello stesso qualcuno di prima lo ha proposto su DeBaser. Per me, l'ho ascoltato una sola volta in streaming, e mi è bastato quel solo ascolto per convincermi che quel concerto, per Grant, è un esorcismo necessario a buttare fuori ogni male; mi immagino che nemmeno si renda conto di essere su un palco, di fronte ad un pubblico.

Io non sono molto bravo con le parole, per cui mi aggrappo sovente a citare chi ne sa più di me. Qualche giorno dopo aver ascoltato «Ecce homo», mi è sovvenuta questa massima di Orhan Pamuk: «A quanto pare, non è possibile scoprire il segreto delle cose senza aver avuto il cuore spezzato». Penso che ci stia benissimo.


E per concludere …

Probabile che qualcuno di voi nel 1979 era nei più reconditi pensieri di mammà e papà, per cui:

  • il 1° luglio 1979 Gilles Villeneuve e René Arnoux duellano sul circuito di Digione nel Gran Premio di Francia di Formula Uno;

  • il 6 luglio 1980 Bjorn Borg e John Patrick McEnroe si affrontano in finale per aggiudicarsi il torneo di Wimbledon;

  • il 5 luglio 1982 Italia e Brasile si sfidano per conquistare la semifinale dei Mondiali di calcio.

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