Pochi simboli esercitano su di me lo stesso fascino del Ponte.


Siamo tutti in continuo mutamento e trasformazione: lasciamo lembi di terra, lavori, amori e stagioni della nostra vita, per approdare a nuovi. Nel mezzo c’è lui, il Ponte, sorta di sospensione spazio-temporale delle nostre esistenze in cui tutto ci sembra possibile, realizzabile e desiderabile perché l’altra riva non è ancora raggiunta e noi, sospesi nel vuoto e fantasticando l’ignoto, carichiamo di aspettative la nostra “rinascita”.


Nella poesia francese, esattamente nel mezzo tra l’estremo declino del Simbolismo e Decadentismo di fine ottocento e la nascita delle correnti avanguardistiche di inizio novecento (Dadaismo e Surrealismo), comparve Guillaume Apollinaire; comparve il suo primo libro di poesie, “Alcools”; comparve un Ponte.


Personaggio stravagante e contraddittorio, mezzo italiano e mezzo polacco, questo autentico figlio della “Belle Epoque” riuscì, nel tempo, a diventare il centro gravitazionale della vita intellettuale e creativa di Parigi, cogliendone tutti gli aspetti del periodo storico, sia quelli duraturi, sia quelli più caduchi ed intrasmissibili: dalla ingenua fede nello sviluppo tecnico e scientifico, allo slancio e ricerca verso nuove forme artistiche; dalla esaltazione del “viaggio terrestre” di ogni essere umano, al gusto ironico e distaccato con cui si discuteva di mode, costumi e passioni.


“Alcools”, pubblicato nel 1913, è una sorta di diario intimo e personale in cui Apollinaire, poeta di natura randagia e gaudente, miscela instancabilmente l’aneddoto fiabesco con il preziosismo linguistico, l’immagine del quotidiano con la citazione colta, le leggenda medievale con lo humour più frizzante. L’abbondanza delle fonti ispiratrici e la ricerca formale dell’espressione poetica (con l’uso del verso libero e l’eliminazione della punteggiatura per esempio), potrebbe far pensare a composizioni meditate ed elaborate da un’austera coscienza critica come accadeva in Mallarmé, ma non è così. Per la loro energia volitiva, goliardica ed improvvisatrice le poesie di Apollinaire sembrano essere vortici imprevedibili in cui l’autore riesce a far coesistere elementi eterogenei ed inconciliabili, compiendo balzi di prospettiva e variazioni di pathos davvero ardite.


All’inizio ho parlato di Ponte perché in questa “perpetua ilarità creativa” (come la definiva Mario Luzi), è rintracciabile sicuramente una certa malinconia propria di Verlaine od una certa propensione al simbolo crudo ed “urbano” di Baudelaire; ma in Apollinaire non vi è mai completa immersione nel simbolo, vi è sempre un certo distacco divertito e compiaciuto che alleggerisce la tensione.


Infine è da considerarsi, almeno formalmente, forse il più importante precursore del Surrealismo, ma entro certi limiti: se è vero infatti che il suo versoliberismo ed alcuni procedimenti di “scrittura automatica” hanno sicuramente influenzato Breton ed i suoi discepoli, è altrettanto vero che Apollinaire si è sempre occupato di “viaggi terreni”, si occupava di questo mondo. il Surrealismo cercava un “altrove” e voleva creare mondi nuovi, sconosciuti e forse, proprio per questa tendenza, a livello sostanziale, i più diretti anticipatori di questa corrente artistica sono stati il misticismo e l’ermetismo dei Rimbaud, dei Lautremont.


In “Alcools” vediamo un uomo che girovaga per la città: la sua “efflorescenza dispersiva” che gli fa apparire attraente ogni singolo particolare che vede nelle vie, è intrecciata ad un desiderio profondo di “tornare” dentro di sé, per dare un significato alle cose. Ogni slancio bizzarro e stravagante verso l’esterno, è bilanciato da un’immensa attenzione per ciò che sta accadendo nel proprio spirito. Quasi che Syd Barrett e Nick Drake avessero deciso di incidere un disco insieme.

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