Accolto negli Stati Uniti come "l'evento cinematografico dell'anno", "Game of thrones" non ha faticato a trovare ben presto una larghissima schiera di proseliti, infatuati delle narrazioni leggendarie di George R. R. Martin. Ideato dalla coppia David Benioff e Daniel B. Weiss, questo "Game of thrones" ha stregato prima oltreoceano, per poi approdare anche in Europa ed essere ampiamente apprezzato anche nel vecchio continente. Una serie televisiva firmata HBO (ormai un'autentica garanzia), che ha portato in auge un fantasy che si era perduto nelle fascinazioni spettacolarizzanti e nel 3D hollywoodiano.

Il Westeros di Martin (autore dei romanzi da cui è tratta la serie), è un mondo complesso e sfaccettato, popolato da creature e razze diverse tra loro, ma tutte nel bene e nel male accomunate da un unico grande desiderio: il potere. Il fantasy di Martin, e di conseguenza il prodotto cinematografico conseguente, è un insieme di questioni d'onore e di orgoglio familiare da far rispettare in uno scenario complessivo dove tutti tentato di sopraffarsi, in una lotta per il potere violenta quanto endemica. Nella rappresentazione di tutto questo, la prima stagione di "Game of thrones" era convincente sotto tutti gli aspetti, pur con qualche difetto veniale delle opere di questo tipo. Per la seconda stagione, da poco conclusasi anche sugli schermi italiani, il discorso è leggermente diverso.

Prima di iniziare a parlare della seconda serie ci tengo a precisare che il sottoscritto non ha ancora letto i romanzi, per cui non troverete in questa review qualsiasi tipo di rimando alle pagine di Martin o qualsiasi eventuale differenza tra i due prodotti.

Come molti si aspettavano la seconda stagione non è ai livelli della prima: tanti individuano questa flessione nelle maggiori libertà che la produzione si è presa rispetto ai libri. Come detto prima non sono in grado di fare confronti per una mia mancanza, ma al di là del contenuto dei romanzi ci sono diversi elementi che sottolineano il livello leggermente inferiore di questo secondo capitolo.

Ammorbidimento: per "ammorbidimento" intendo la piega a volte fin troppo sentimentale che la serie ha deciso di intraprendere. Se infatti rimangono molto presenti le scene di sesso (a volte anche a dimostrare una mancanza filmica, colmata da "riempitivi" sessuali), è chiaro come venga dato risalto all'aspetto sentimentale della vicenda, con tante storie che vanno ad eliminare screentime utilizzabile in altro modo. Proprio in questo senso viene lasciato ampio spazio ad una "banalizzazione" del materiale, e gli elementi di azione vengono messi in secondo piano: se infatti la prima stagione aveva posto le basi per l'avvicinarsi della guerra, la seconda non ci mostra questa guerra, che viene soltanto accennata in alcune fasi. L'unico momento in cui la furia guerriera viene fuori è nel nono (e penultimo) episodio, intitolato "Blackwater", per l'occasione affidato al cineasta Neil Marshall, già regista di opere come "Dog soldiers", "The descent" e "Centurion".

Frammentazione: realizzare un prodotto cinematografico su un soggetto di partenza complicato come i romanzi di Martin non è cosa semplice, ma "Game of thrones" ci mette del suo a risultare ingarbugliato e a volte anche "superficiale". Alcuni aspetti della vicenda (soprattutto nei primi 5 episodi) vengono o tralasciati del tutto, oppure tratteggiati in maniera molto soffusa, tanto che risulta complicato star dietro ad una infinita serie di eventi, situazioni e personaggi. Pecca che viene eliminata nella seconda parte della serie, quando il grosso degli avvenimenti si concentra nei saloni di King's Landing.

Ci sarebbero altri piccoli motivi di critica, dalla maggior carica esibizionista, alla perdita di quell'aria fottutamente medievale che aveva caratterizzato la scorsa stagione, ma nel complesso i due difetti maggiori sono quelli prima elencati.

Eppure non siamo di fronte ad un prodotto che scade nella becera macchina "verde" americana e sebbene un leggero passo indietro, la seconda stagione riesce comunque a segnalarsi per aspetti anche positivi. Vale la pena di elogiare gli attori, soprattutto alcuni, che si dimostrano davvero adatti ai ruoli a loro assegnati: in particolare due riescono a svolgere un lavoro ottimo, "bucando" lo schermo con dei personaggi perfetti. In primis Peter Dinklage (alle prese con il ruolo del folletto Tyrion Lannister), capace di dar vita ad un uomo calcolatore, autoritario, ma allo stesso tempo anche legato ai suoi affetti più intimi. In secondo luogo menzione speciale anche per Lena Headey (che interpreta Cersei Lannister), donna fredda e violenta come il mondo che la circonda. Oltre a mostrare la verve di questi (ed altri attori), "Il trono di spade" si dimostra capace di addentrarsi con maestria nel territorio del fantasy, senza mai scadere in rappresentazioni forzate del genere fantasy come veicolo per avvicinare un pubblico che si aspetta solo draghi, principesse da salvare ed eroi belli e bravi. Westeros è popolato da gente di merda e per i paladini del bene c'è poco spazio...

Tre pallini e mezzo.

"La conoscenza è potere..."
"Il potere è potere..."

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