Inizio questa recensione con una precisazione dovuta: non sono mai stato un fan dell'epic e del power metal. Li ho sempre ritenuti generi troppo pomposi, barocchi e sfarzosi, con tecnicismi fini a sé stessi e, bene o male, sempre le stesse tematiche trattate. Ora mi si contesterà che anche il doom metal, ad esempio, ruota attorno ai soliti temi: giusto anche questo, per cui, onde evitare sterili critiche e dibattiti sin dall'inizio, mi rimetto al solito discorso che è tutta questione di gusti.

Da profano quale ero e sono di questo genere mi avvicinai dunque a questo disco dei romani Heimdall nel 2004, su suggerimento di un mio amico grandissimo fan del power. La stessa persona mi aveva già consigliato anche "Dawn Of Victory" dei Rhapsody, disco che non ho mai compreso ed apprezzato fino in fondo (a dirla tutta mi sembra un po' troppo sopravvalutato, ma questo mi porta lontano dalla mia recensione). Dato il precedente suggerimento dunque accettai un po' con le molle questo "Hard As Iron", album che, a detta del mio amico, mi sarebbe potuto piacere per le sue atmosfere nordiche fredde e i toni talvolta cupi e maestosi. Beh, effettivamente la dritta non è stata poi così sbagliata. Preciso subito, questo e il sopraccitato dei Rhapsody sono gli unici album power che ho (e di certo non ne prenderò altri), però devo riconoscere che alcune delle nove tracce componenti l'opera dei romani sono ben fatte, curate e coinvolgenti, di ottima fattura e originalità insomma.

I canoni dell'epic metal sono rispettati appieno: voce baritonale potente, cori nordici, riff impetuosi e "a cascata" dai mille tecnicismi, sezione ritmica martellante e robustissima, tastiere avvolgenti e d'atmosfera, temi (ovviamente) epici (che lo dico a fare) su regni in distruzione e eroici atti di vendetta o guerriglia. Potrei chiudere qui e il disco sembrerebbe un clone di tanti altri sul mercato. Eppure ha qualcosa, forse nelle intelaiature fredde e ancestrali, forse in una tetra e malinconica trama di fondo, che me lo fanno piacere e apprezzare. Si aggiunga poi che certi ritornelli e riff sono davvero orecchiabili, stampandotisi nella testa con la caparbietà di una canzone di Neffa. Ovviamente parlo secondo un mio metro di giudizio, dal momento che (e non lo escludo) è possibile che ciò che io trovo piacevole sia in realtà qualcosa di già sentito, trito e ritrito, per le orecchie di un ascoltatore medio di epic e power (ma questo lo capirò solo dai giudizi futuri).

Passando a una descrizione del disco, devo constatare come la band romana spari le sue migliori cartucce tutte subito. La title track, furiosa e maestosa nel suo incedere, ha un ritornello profondo e coinvolgente, merito dei già citati cori e della voce calda e a tratti molto aggressiva del cantante. Una buona traccia, forse leggermente imbruttita dall'elettronica nel break a metà, ma tutto sommato divertente.

A seguire la trascinante "Midnight". L'inizio rarefatto e tranquillo lascia subito il posto a una cavalcata lenta e inesorabile, potente sia nella voce del cantante che nelle ritmiche, ambiziose e trascinanti, con echi quasi thrash. La traccia prosegue veloce in un ottimo crescendo di pathos e di atmosfera, e si rivela, in fin dei conti, come una delle migliori di tutto il disco. Non è molto varia, questo è vero, ma riesce comunque a colpire lasciando un piacevole ricordo. Ottima inoltre la prestazione vocale del singer Giacomo Mercaldo.

"Moon-Red Light" mostra invece la faccia più oscura e quasi drammatica (nell'esecuzione intendo) degli Heimdall. Seppur con la solita base epic, i nostri introducono elementi qua e là dal sapore nordico e di impatto, e di nuovo la voce del cantante, qui espressiva come non lo era ancora stata, recita la parte del leone traghettando l'ascoltatore verso luoghi freddi, desolati, su campi di battaglia deserti riempiti solo dai fantasmi di una battaglia appena finita.

Su queste stesse coordinate di intensità e tensione si sviluppa poi l'ottima "Black Tower". Molto più lenta delle precedenti, la traccia tocca forse il punto più alto per quanto riguarda il pathos comunicato. C'è davvero un'aria drammatica e tragica che permea questa canzone soprattutto, che me la fa piacere e preferire a tutte le altre presenti nel disco.

Non manca lo spazio per la ballata di chiara matrice scandinava e tedesca, "Cold". La traccia è forse un po' ingenua e scontata, ma si fa piacere, merito delle malinconiche tastiere e dell'ottima interpretazione del cantante.

Ora però arrivano le note dolenti: dalla successiva "The Emperor" sino alla fine il disco cala vistosamente non tanto nello stile, ma nella varietà dei suoni proposti. Le tracce rimaste infatti sono una riproposizione di quanto già sentito, e non riescono a catturare l'ascoltatore come le precedenti. I riff orecchiabili rimangono, ma alla fin fine si perdono in una vaga e diffusa sensazione di già sentito che rende il tutto alla lunga ripetitivo e monotono.

Mi sento tranquillo nel dare un buon 7- a questo gruppo dalle ottime potenzialità. La band sa suonare e la sua proposta sa essere convincente allargandosi su più fronti; peccato per un'eccessiva monotonia (alla lunga) e per una pronuncia talvolta un po' spartana e grossolana (dettaglio comunque di cui ci si rende conto solo se si fa molta attenzione al cantato del singer). Il mio voto è soprattutto di stima, un riconoscimento (di nessun valore, in fin dei conti) soprattutto per quanto sentito nella prima parte dell'album, dove la novità proposta dal gruppo si fa apprezzare in tutta la sua forza.

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