I.

Lento: Sostenuto tranquillo ma cantabile.
La preghiera medievale de "Il lamento della Santa Croce", incentrata sul dolore della Vergine per il Cristo morto, fulcro formale e poetico del movimento. Struggente litania anticipata dal lento e progressivo crescendo degli archi, dalla tensione dolorosa dei contrabbassi che lascia uno spazio sofferto a viole e violini, dall'introduzione tardiva delle poche e liquide note di piano. A metà della composizione il canto è mesto, accorato, senza forza. Ma si erge nella sua straziata solitudine, diventa prece e scema piano, spegnendosi. Di nuovo una riflessione, poi l'ultimo lacerato urlo che violini e viole raccolgono sulle stesse alte tonalità.
Specularmente la dissolvenza nelle ottave più basse, nei contrabbassi, nei timbri grevi. Dolore è grido e meditazione sofferta.

II.

Lento e largo: Tranquillissimo - cantabilissimo - dolcissimo - legatissimo.
La pietosa preghiera sulle mura di una cella della prigione di Zakopane, richiesta di pietà e compassione di una giovane deportata polacca. Violini subito vivi, struggenti nel loro calmo incedere. Solo qualche battito, poi la brusca dissolvenza nel più livido dei canti. Archi e voce sono endiadi. Il canto si innalza piano, si riscatta dalle viole e diventa domanda di redenzione. Una pausa. Il più doloroso dei contrappunti vocali giunge in uno struggente afflato di sofferenza, lucido nella sua affranta compostezza, prono al volgere del motivo degli archi.
Il canto ambisce a qualcosa di estraneo al sensibile, permane ripetendosi nel suo amaro sconvolgimento, poi si dissolve, ancora una volta, risolvendosi nell' unisono con gli archi. Dolore è parvenza di malinconia.

III.

Lento: Cantabile semplice.
Canto popolare polacco incentrato sul dolore di una madre per il figlio perso in guerra. Il singhiozzo degli archi, costante, per tutto il pezzo. Un inizio cupo e umbratile ragguaglia sull'imminente torpore di un canto che non ha forza di ambire allo strazio. Gli archi si arricchiscono lentamente di nuove impressioni, sfioriscono lievemente in sintonia con la voce, poi ancora compagne di quest'ultima s'innalzano pietosamente. Di nuovo un cambiamento, una nuova tensione, e al canto è attribuita la più dolceamara dimensione dell'accoratezza. Prece di rassegnazione, litania attraverso cui la natura tutta viene invitata a vibrare del dolore della madre ormai sola, richiesta di alleviamento di una pena che solo la speranza di una stasi migliore può lenire. Partecipi gli archi nel loro continuo e sofferto singhiozzo. Di nuovo una pausa, poi ancora la torbida flessione iniziale. I violini ambiscono al dramma con ostinazione, continuano nell'incedere, accennano a dissolversi. Lentamente scompaiono. Muoiono. Dolore è richiesta di un giorno meno doloroso.

"Sinfonia n.3" di Henryk Mikolaj Górecki, mai musica fu tanto pervasa da disperazione.

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