In un contesto unico ed irripetibile qual è quello della pittura cinquecentesca nei Paesi Bassi, così legato a doppio filo alle tradizioni della cultura proverbiale popolare (e l'esempio più celebre ne è l'indimenticato Quadro dei Proverbi di Pieter Bruegel, ispirato all'opera di Erasmo, gli Adagia, "summa" del sapere popolare con curiosamente - ma sino ad un certo punto, se è vera l'istanza machiavelica dell'uomo sempre uguale a se stesso nella sua meschinità, quasi in un eterno ritorno della mediocrità e dell'incapacità di superare se stessi - moltissime analogie con la nostra contemporaneità), ma anche a quella dell'occultismo, dell'esoterismo e della magia rinascimentale (che poi è esoterica per definizione, e dovrà aspettare l'avvento dela figura secentesca dello scienziato per togliersi dai meandri di una cultura iniziatica che nega il progresso in funzione della tecnica ed in cui i risultati vengono confrontati, e non gelosamente custoditi), è alquanto difficile tracciare un profilo della figura di Hieronymus Bosch.
Certo, abbiamo un anno di nascita, il 1450, abbiamo un contesto storico ed abbiamo, se non l'opera omnia, un comunque più che bastevole numero di quadri e trittici; d'altro canto la sua figura rimane misteriosa ed enigmatica. Il motivo ossessivo della sua opera, della quale "Il Giardino delle Delizie" è solo uno degli esempi più illumina(n)ti, è quello dell'uomo travolto dal peccato, e ritratto in momenti e con toni drammatici: impressionante la figura dell'avaro morente che sul letto di morte protende la mano verso il sacco di denaro che gli viene porto da un demone, a significare la totale assenza di una redenzione; oppure i famosi (e bellissimi) Trittici del Giudizio universale, con le celebri rappresentazioni dell'inferno popolato da creature demoniache raffigurate con una potenza visiva, una fantasia ed una genialità che non hanno eguali nella storia dell'arte.
Ciò porta ad un dilemma: ma le composizioni di Bosch hanno un intento moralizzante, si pongono a cieco baluardo nella fede cristiana ammonendo dai pericoli di una condotta di vita peccaminosa, o sono forse una resa, una semplice fotografia del pessimismo cosmico di un mondo universalmente schiavo e privo di ogni possibilità di redenzione, non più in grado nemmeno di imitare i santi una volta modello? Ipotesi,la prima, suffragata dalla carica religiosa che sembra Bosch ricoprisse; la seconda, invece, può essere incoraggiata dai sicuri coinvolgimenti dell'autore con sette ereticali.
"Il Giardino delle Delizie" sembra propendere per la seconda strada: tutto nasce dall'Eden, condzione di felicità, età dell'oro, non nel senso tassiano del "s'ei piace, ei lice", bensì come luogo scevro dal peccato della lussuria, il più ossessivamente immoralato dal visionario autore. La situazione muta con la creazione di Eva, che introduce il peccato della lussuria appunto (e qui ci sarebbe da approfondire il tema della misoginia nella cultura cinquecentesca): parallelamente a lei, sinistre figure mostruose, iniziano a serpreggiare.
Poi c'è il maestoso pannello centrale, concettualmente e figurativamente dinamico: centinaia di personaggi nudi si susseguono ed interagiscono nell'arco di un non-luogo mostruoso, non più Eden, non ancora il mondo come lo conosciamo noi. Figure vorticose, chi, nell'estremo simbolismo dell'eterna fragilità umana, chiusa in una palla di vetro, a richiamare il proverbio che vede la felicità umana come una sfera di vetro, che presto s'infrange; ma il centro di gravità, il fulcro della maestosa composizione popolata da irripetibili esseri, è la fontana della giovinezza, altro topos caro alla cultura fiamminga (ricordiamo il quadro di Cranach the Elder, all Gemaldegalerie di Berlino), foriero di eterne discussioni sul carpe diem e sulla posizione della donna. Memorabile lo sfondo con assurde costruzioni a vegliare su questo teatro dell'assurdo.
La parte infernale propone l'inedito motivo musicale; sorda ai richiami di Dio, l'umanità è punita per contrappasso con raffinati e sadici tormenti; Satana, essere dalla testa di uccello con un pentolone in testa, inghiotte i dannati e li elimina come escrementi, a sottolineare la perdita della dignità e (quindi) della ragione.
Epico ritratto, forse celebratvo, forse di monito, chi lo sa, della sfrenatezza umana, che lo si guardi come moraleggiante avviso contro la disperata ricerca dell'uomo verso il piacere o come la celebazione di un irripetibile stile di vita, il Giardino delle Delizie rimane a più di 500 anni permeato di un fascino, un simbolismo e una ricchezza forse irripetuti ed irripetibili.
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