La sabbia che abbiamo dentro.

Ci sono film che assumono un particolare significato a seconda del contesto e della condizione in cui ci si trova al momento della loro visione. Questo “Donna di sabbia” l’ho visto una sera all’interno di una rassegna personale di Hiroshi Teshigahara a Milano nel ’93, in una città fantasma notturna, immersa nella nebbia con pochissime anime vive in circolazione.

Hiroshi è una personalità nell’arte contemporanea e, oltre a numerose installazioni e performance di matrice Taoista, ha al suo attivo 4 film tutti scritti con Kobe Abe (autore dell'omonimo romanzo) e con l’apporto musicale di Toru Takemitsu.
'Suna no onna' (Donna di sabbia) è una splendida pellicola del 1964 che narra in maniera oserei dire kafkiana, il rapporto dell’uomo con gli eventi e il caso, in una scambio continuo di percezioni e imput che ne modificano costantemente lo stato percettivo e la visione della realtà continuamente mutabile. Ogni cosa cambia, sembra volerci dire, si evolve e determina i limiti stessi della condizione umana in cui vogliamo vivere.

Un film molto vuoto, di impianto quasi teatrale, che trasuda spiritaità e zen in ogni scena, che parla di un uomo solo, un collezionista di insetti, smarrito in un deserto simbolico. Un uomo che non riesce a incontrare nessuno e che non sa il motivo del suo trovarsi lì. Dopo essere stato ospite di uno strano villaggio che vive nascosto nelle dune di sabbia, decide di passare un po’ di tempo dentro questa nuova realtà.
Inizia quindi a diventare inquilino di una casa che, come le altre, si trova a valle di questa immensa buca continuamente minacciata dalla sabbia che preme sulle 4 pareti. La proprietaria della casa vive perennemente impegnata a spalar via la sabbia che incombe quotidianamente sulla sua tranquillità.

La sabbia quindi come metafora di una dannazione del vivere, dell’ansia che ci fa perdere gran parte delle nostre forze a togliere le preoccupazioni esistenziali, in un cerchio continuo di sofferenza continua implacabile e senza via d’uscita. Una sabbia che uccide (ha ammazzato il marito della signora e poi la figlia), una sabbia che minaccia costantemente la psiche del protagonista dapprima indifferente e poi, via via (rimasto a sua volta imprigionato nel fondo di questo buco/metafora esistenziale) sempre più partecipe alla salvaguardia della casa e della vita stessa.
A nulla varrà provare ad uscire dalle pareti sabbiose, ad ogni tentativo nuove slavine faranno desistere da ulteriori tentativi fino alla resa incondizionata a una vita miserrima perennemente con la pala in mano a togliere sabbia dalle pareti di una casa che sprofonda sempre di più. Qui c’è poi la metafora nichilista per eccellenza per cui più si tenta di uscira da una situazione – l’azione dello spalare - e più la situazione peggiora – la casa che sprofonda.

Un giorno poi l’uomo riuscirà a fuggire e tornerà a vedere il mare ma lì avverrà il suo grande cambiamento interiore: fuori dal mondi di sabbia non riuscirà a trovare lo stesso “senso” di prima, svuotato ora di obbiettivi e significati, la sua vita sarà “stare accanto a quella donna” e salvarla dalle minaccie che incombono sulla casa…solo così riuscirà a ritrovare il senso ultimo del vivere.
Solo verso la fine del film, scopriremo che il nostro personaggio fa parte di una lista di persona scomparse da sette anni e che non hanno mai fatto ritorno a Tokio.

Un film di una bellezza e di un’eleganza estetica ineccepibile
, dove ogni inquadratura è pennellata come un’antico ideogramma giapponese, in un bianco e nero esistenzialista cugino prossimo della scuola espressionista tedesca che ben si addice all’essenzialità di una storia come dicevamo animata da uno spirito kafkiano, dove i personaggi trovano la loro redenzione nella tragicità stessa degli eventi e dove tutto, diventa relativo e importante al tempo stesso in relazione agli eventi stessi.
Un film che va dritto a parlare all’anima. Un film di poche parole (è sottotitolato) ma che ci trascina in un crescendo di lucida disperazione facendoci sprofondare in abissi di vuoto incolmabile ma che, grazie a questo, ci fa trascendere a mondi diversi e a possibili esistenze differenti difficilmente percorribili in una sola vita.

Una vera chicca per intenditori e per chi è alla ricerca di un qualsiasi cammino spirituale (e per amanti del cinema orientale, in generale).

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