La vita è difficile; per tutti, nessuno escluso, in qualunque situazione, ad ogni età. Ricordo il tramestio interiore dell’adolescenza: la fioritura di aspettative luminose, la puerile sensazione di essere diverso, la risibile fede nel prossimo, nell’arte, negli anni a venire. Tutto spazzato via, in un baleno. Una delle cose più violente che mi sono accadute nella vita, è stata la presa di coscienza della mia inadeguatezza, della mia superfluità; mia e del mondo. Le illusioni sono sfiorite una dopo l’altra, lasciando il posto ad un radicato, e spesso grottesco, sentimento di rivolta misto ad un sospetto fatalismo e ad una calma apparente ancor più sospetta. Sempre di più, non riesco a non essere d’accordo con Tolstoj quando affermava: “Per vivere con onore bisogna struggersi, turbarsi, battersi, sbagliare, ricominciare da capo e buttare via tutto, e di nuovo ricominciare e lottare e perdere eternamene”.


Nella gigantesca cattedrale della “Commedia Umana”, il pilastro centrale e imprescindibile che regge l’intera impalcatura è rappresentato, a detta dello stesso Balzac, da “Illusioni Perdute”. E’ quì che l’autore, nel pieno della sua maturità artistica, riesce a coniugare la reviviscenza dello sfavillio delle speranze giovanili, con l’inesorabile ferocia del mondo che mastica e sputa ogni slancio poetico. E’ qui che il gioco di echi e di rimandi (con i personaggi che “migrano” da un romanzo all’altro per esempio) che permea tutta la “Commedia Umana”, trova la sua più armonica compiutezza. E’ sempre qui che, narrando le vicende di Lucien de Rubempré, un giovanotto di belle speranze che va a cercar fortuna nella lussureggiante Parigi, Balzac fa i conti con sé stesso, con le sue aspirazioni, con i suoi fallimenti.


Sebbene il romanzo in sé, con l’ascesa e la caduta tipiche dell’eroe ottocentesco e con la descrizione degli “usi e costumi” di metropoli e provincia, sia tra le opere che più perorano la causa di un Balzac proto-Realista, non dobbiamo scordaci che “Illusioni Perdute”, va incastonato nel mastodontico contenitore della “Commedia Umana”; è “solo” un altro capitolo, seppur, forse, il più avvincente.


Respingo con forza questa tesi; Balzac ha sicuramente influenzato il Realismo, ma questo vestito gli sta veramente molto stretto (come successivamente andrà stretto a Flaubert). Come tutti i veri grandi artisti, non è possibile appiccicargli addosso un’etichetta senza scadere nella superficialità. Nella sua opera, non mancano riferimenti simbolici e mistici (“Séraphita” e “La Pelle di Zigrino” per esempio) e addirittura nel “Capolavoro Sconosciuto” sembra prefigurare l’Astrattismo con un’ottantina d’anni d’anticipo.


Non sorprende, dunque, che uno dei più grandi ammiratori di Balzac, sia stato Baudelaire che, in alcune liriche, sembra aver ereditato da lui il simbolo sordido e melmoso, i personaggi sudici e amorali di una Parigi vista come un girone infernale. La stessa immersione di Proust nella “Recherche”, è parente stretta, seppur stilisticamente molto differente, della “Commedia Umana”; quasi una sua “commedia personale”. Come si vede autori ben al di là del “semplice” Realismo.


Riguardo al metodo di lavoro di Balzac, Baudelaire scriveva che “Tendeva a sovraccaricare di correzioni i suoi manoscritti e le sue bozze in maniera fantastica e disordinata. Un romanzo passava allora attraverso una serie di genesi, nelle quali si disperdeva non solo l’unità della frase, ma anche quella dell’opera”, trovandogli questo come suo unico difetto. Però, non dobbiamo dimenticare che l’esistenza stessa di Balzac fu disordinata, stralunata e romanzesca e che forse, a conti fatti, non fece altro che scrivere la propria vita e vivere i propri romanzi.


Illusioni Perdute” va vissuto come una splendida tappa del percorso balzachiano e, per conoscere interamente la sorte di Lucien, dovremo abbinargli la lettura del suo sequelSplendori e Miserie delle Cortigiane”, con il quale forma un dittico di rara potenza espressiva.

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