Difficilmente le guerre vengono combattute per una buona causa. La guerra, comunque, non è mai una buona cosa e se si potesse premiare quella più inutile, ignominiosa e feroce, sul macabro podio salirebbe l'attacco degli USA al Vietnam. Un giorno gli Stati Uniti si svegliano, formano la SEATO con altri stati per schiacciare la politica comunista del Vietnam del Nord, in contrasto con la dittatura filoamericana di Ngo Dinh Diem, il presidente sudvietnamita e fomentati a maggior ragione dal loro anticomunismo senile infilano in un tritacarne circa 370.000 giovani militari. 58.000 torneranno a casa avvolti in una bandiera e con mezza piastra infilata in bocca. Nel Vietnam del Nord, tra bombardamenti, napalm e guerriglie corpo a corpo moriranno oltre 3 milioni di persone tra vietcong e civili.

Huynh Cong Ut, facilitato in Nick Ut è un giovane fotografo di guerra, tra i più validi del Vietnam, corrispondente dell'Associated Press per il conflitto. L'8 giugno del 1972 si trova nel villaggio di Trang Bang a pochi chilometri da Saigon, sulla strada che la collega a Phnom Penh. Gli americani stanno distruggendo ogni cosa mediante devastanti bombardamenti al napalm, una delle soluzioni chimiche più esiziali mai preparate. Nick invece usa cartucce in celluloide, sempre efficaci senza mai provocare alcun danno. Almeno materiale.

Le capanne prendono fuoco e i pochi occupanti terrorizzati scappano, divorati dal panico. Forse non riescono neanche a immaginare cosa stia succedendo. O il perché, la loro povera ma dignitosa quiete sia stata interrotta in questa maniera così disumana. Non hanno il tempo di raccogliere qualche oggetto personale o di valore, ammesso che lo abbiano. Qualcuno, se può, recupera almeno uno straccio da mettere addosso ma non tutti ci riescono. Il reporter scorge un uccellino che non ha più penne. Sta cercando di volare via da quell'inferno in terra ma ha le ali bruciate. Accanto ci sono altri uccellini che qualche penna se la ritrovano ancora attaccata addosso. Il terrore, lo sgomento, in tutte le forme appare disegnato su quei piccoli visi innocenti. Smorfie di dolore e lacrime si mescolano tra le fiamme. La piccola vietnamita si chiama Kim Phuc e ha 9 anni. Ha appena perduto due cuginetti. Mentre corre disperatamente, urla "Nong qua!" ossia "Troppo caldo!". Un altro giornalista sul posto, Chris Wain accoglie la bimba sotto la sua ala protettiva, le versa dell'acqua addosso nel tentativo di sopprimere le atroci ustioni e le da qualcosa da mangiare. Quel visetto impaurito che guarda l'obiettivo mentre mastica, magari, un dolce per alleviare la paura non può passare inosservata. Così come quel corpicino sfigurato dalle scottature tra le braccia di una donna in fuga. I demoni, indifferenti alle atrocità, passeggiano sullo sfondo come se stessero a far compere nel centro illuminato a neon di una città. Quella freddezza feroce, nei confronti di piccole anime perse fa repulsione. Meglio verificare la lucentezza dell'arma individuale che cercare uno spiraglio per le emozioni. Meglio caricarle con quei lapilli di piombo che perforeranno altri esseri umani. Chi se ne frega dei bambini vietcong? Che crepino!

Ut scatta un'immagine che strappa le lacrime dagli occhi. A mio avviso è difficile pietrificarsi il cuore. Poi con il collega Wain porterà Kim e gli altri bambini in ospedale, dove saranno sottoposti a diversi interventi per le ustioni di terzo grado riportate su gran parte del corpo, ma riusciranno a sopravvivere. In seguito, Ut la assisterà fino alla caduta di Saigon del 1975 e per la foto otterrà il premio Pulitzer nel 1972. Kim, dopo essere diventata il simbolo nazionale di guerra della propaganda comunista nordvietnamita, oggi è infermiera e ambasciatrice dell'UNESCO, oltre ad aver istituito una fondazione internazionale a suo nome per aiutare bimbi vittime delle guerre, con assistenza sanitaria e psicologica.

Donna giovane del Vietnam
com'è strano coltivare il mare,
quanti fiori ti ha dato già,
quanti altri te ne potrà dare.
Da qui a Saigon la strada è buona...

(Francesco De Gregori)

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