Glamour non ha ragione d’esistere perché I Cani non sono un gruppo qualsiasi.
Nel 2010, quando cominciano a circolare le loro prime canzoni su internet, quello che colpisce è un metalinguaggio dirompente, che unisce a basi electro-indie una sottile ma (volutamente) malcelata critica di quello stesso pubblico a cui le tracce si rivolgono.
E’ quasi scontato l’interesse suscitato tra gli hipsters italioti (me compreso, al tempo), se a tutto questo si aggiunge l’alone di mistero intorno al progetto: nessuna foto, nessun nome, nessuna etichetta discografica.
Quando un anno dopo esce il Sorprendente album d’esordio…, è la ricetta perfetta: le basi, il titolo autoironico (un ribaltamento di What did you expect from Vaccines?), ma soprattutto le vere e proprie storie, tra citazioni di Wallace e Wes Anderson e quadretti come quello di Door selection.
Inevitabile il declino, a questo punto; se il primo e artigianale tour li vede protagonisti con i sacchetti in testa (come nelle prime foto circolate dopo il primo album), piano piano i tratti si delineano e il one man band Niccolò Contessa - ormai si sa perfino nome e cognome - diventa protagonista dello star system.
Inevitabile il fatto che ora I Cani non siano più “quello che potremmo fare tutti nella propria cameretta”, non siano più l’amico che vive la tua stessa scena e va nei tuoi stessi locali e decide di raccontare la tua vita, diventano qualcosa a sé stante, in un certo senso diventano una band italiana come le altre, ed anzi forse piuttosto mediocre.
E a questo punto i giudizi, per forza, devono cambiare. Caro Niccolò, non ti si tratta più come il fautore di un’idea dirompente, ora che hai mostrato le carte devi far vedere di avere i famosi quattro assi degregoriani.
Glamour è un album mediocre, ed anzi arriverei a dire inutile, perché non è né carne né pesce; un po’ prova ad approfondire una descrizione più intima e personale di certe situazioni (Corso Trieste, Come Vera Nabokov), un po’ tenta di riprendere le vecchie descrizioni della “scena” (Non c’è niente di twee), ma in fondo suona come classico electro-pop orecchiabile.
Per carità, Storia di un impiegato rimane piacevole, così come la chiusura di Lexotan, forse apprezzabili le derive lo-fi di Introduzione… Ma se qualcuno ci ha visto la crescita artistico-personale di Niccolò verso il glamour-ismo (e forse il titolo è nuovamente ironico, anche se inevitabilmente meno efficace), ecco, questa crescita è sicuramente più noiosa e meno stimolante del passato.
Delle due l’una; o Glamour non ha ragione d’esistere per quello che sono (stati) ontologicamente I Cani, oppure doveva essere un album differente, forse completamente diverso da tutto e da tutti. Solo così avrebbe potuto sorprendere.
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